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Il ponte Morandi e i nodi del Cemento Armato anche aretino

C'è una tolleranza ampia? Certo che c'è, almeno se l'ingegnere calcolatore non vuol fare una figura troppo bella e non rischia niente. Ma l'unico aspetto che riguarda la sicurezza e la durata di una struttura in cemento armato riguarda progettista...

C'è una tolleranza ampia? Certo che c'è, almeno se l'ingegnere calcolatore non vuol fare una figura troppo bella e non rischia niente. Ma l'unico aspetto che riguarda la sicurezza e la durata di una struttura in cemento armato riguarda progettista e calcolatore? No, perché c'è un aspetto al quale nel tempo (principalmente negli anni sessanta, settanta e ottanta, per la mia esperienza) si è riservata un'attenzione spesso minima; una questione fondamentale che è difficile risolvere.

Si chiama qualità della realizzazione delle strutture in C.A. da parte delle imprese edili. Troppo spesso, infatti, queste ultime non hanno rispettato i canoni costruttivi prudenziali e "del buon padre di famiglia". Questo è avvenuto alle spalle dei calcolatori e dei Direttori dei Lavori, i quali hanno spesso vigilato con troppa sufficienza.

Come quasi sempre tutto deriva dall'ignoranza e dalla convenienza. Tanto per fare un esempio, quando i travi sono diventati "a spessore" (inclusi nello spessore del solaio, anziché sporgere verso il basso) le cose dal punto di vista costruttivo si sono complicate perché la loro larghezza insieme al limitato spessore (in genere nei fabbricati ad uso abitativo 18/20cm) andava a confliggere con i percorsi delle tubazioni a terra (sotto pavimento), ma anche e sopratutto con le canne fumarie e le colonne di scarico di bagni e cucine.

Il ferro stipato nelle travi a volte (spesso) non lasciava spazio al passaggio di qualsiasi altra cosa e allora quando non si trovavano soluzioni alternative (sempre spesso) si procedeva al taglio delle barre d'acciao. Per far passare una colonna di scarico ci si limitava a due o tre coppie di barre, ma se a passare doveva essere una canna fumaria con tanto di isolamento termico (almeno 30 x 40cm) si arrivava a tagliare anche la metà del trave, magari in un momento in cui il direttore dei lavori (del C.A. o generale) non era presente.

Questo da ex giovane tecnico e uomo di cantiere l'ho visto fare molte volte e molte volte l'ho visto occultare con palate di cemento (occhio non vede cuore non duole).

Ma questi casi non sono l'unico problema legato all'esecuzione delle strutture in C.A., c'è infatti da segnalare che si tendeva (scrivo al passato perché oggi non faccio più quel lavoro dal 2000 circa) spesso a non usare le attrezzature adatte a vibrare l'acciaio e le cassaforme per favorire l'aderenza del cemento al ferro. So per certo di molti buchi vuoti rimasti in travi assurdamente affollati da ferri di grosso spessore (anche due e più centimetri l'uno) in spazi angusti. Il ferro lavora anche da solo? Un po', in parte e almeno fino a che non si ossida troppo.

Quasi sempre, poi, la consistenza del cemento gettato nelle cassaforme era molto più liquida di quanto previsto. Le botti portavano in cantiere materiale della giusta consistenza per poi aggiungere acqua a richiesta per rendere il tutto più fluido e lavorabile. Il getto di un solaio era più veloce, i vuoti diminuivano, ma la qualità del cemento scendeva da 10 a 4... bastava che il direttore dei lavori o l'ingegnere calcolatore girassero le spalle e via all'annaffiamento del cemento, se necessario fino a ubriacarlo...

Nei pilastri, poi, in molti casi la ghiaia del cemento era concentrata nella parte bassa del manufatto, proprio perché la consistenza al momento del getto era troppo liquida.

Qualcuno si chiederà in quali cantieri lavoravo, ma la risposta è che non parlo solo e non tanto di quelli che dirigevo o ai quali partecipavo, bensì a molti altri. Gli operai più esperti (e spesso più ignoranti in materia) si spostavano da una ditta e l'altra portandosi dietro l'esperienza fatta.

Certo, c'era chi era più coscienzioso e chi meno; chi più controllato e chi meno, ma il trend era quello che ho descritto sopra.

Ci sarebbe quindi da stupirsi se a indebolire le strutture del Ponte Morandi a Genova fosse stato qualche vuoto d'aria nel cemento (come si è detto nelle ultime ore)? No davvero, ed è facile vederlo se un trave o un pilastro si frantuma. Un palazzo di cemento armato è una scatola sorretta da un telaio che sopporta anche delle zoppie, come uno o più pilastri fuori dalle fondazioni (esperienza fatta certamente in centro ad Arezzo, in un grosso palazzo dei primi anni sessanta) o colonne più snelle (alte e strette) del dovuto. Ma un ponte è cosa più complessa e delicata, dove gli equilibri possono essere molto più delicati e bisognosi di attenzione massima.

E i terremoti, insieme alle ingiurie del tempo, sono in agguato.

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