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L'Opinione di Brunacci

L'Opinione di Brunacci

A cura di Gianni Brunacci

Mai più la guerra

Correva l'anno 1965. Esattamente cinquanta anni fa. Era il giorno dedicato a San Francesco, il 4 ottobre. Con il passo solenne ed umile al tempo stesso, che solo la scuola di Santa Romana Chiesa sa insegnare, in quel pomeriggio d'autunno il...

Correva l'anno 1965. Esattamente cinquanta anni fa. Era il giorno dedicato a San Francesco, il 4 ottobre. Con il passo solenne ed umile al tempo stesso, che solo la scuola di Santa Romana Chiesa sa insegnare, in quel pomeriggio d'autunno il rappresentante del più piccolo Stato della terra varcò l'ingresso del Palazzo di Vetro a New York per parlare all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Per la prima volta nella storia dell'ONU, i rappresentanti di quasi tutte le nazioni del mondo avrebbero ascoltato la parola del Papa. E ad accoglierlo come Presidente dell'Assemblea, per la prima ed unica volta nella storia dell'ONU, c'era un italiano: Amintore Fanfani.

Il Santo Padre era Paolo VI, forse il più intellettuale dei Pontefici del Novecento. E come spesso capita ad alcuni intellettuali, erroneamente si scambiava la sua riservatezza per lontananza. Paolo VI avviò la proiezione universale della Chiesa cattolica e conciliare, viaggiando ove possibile in ogni parte del mondo. E si presentò al Palazzo di Vetro con un seguito di cardinali provenienti da tutti i continenti, suscitando nei rappresentati dei governi del mondo l'idea che quando si parla di universalità, quel piccolo staterello in mezzo a Roma non lo batte nessuno. Paolo VI osò un parallelismo tra l'ONU e la Chiesa: “Siete un ponte tra i popoli … Staremmo per dire che la vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica e universale”.

Parlava in francese, la lingua della tradizione diplomatica internazionale. “Voi avete davanti un uomo come voi” disse. Ma poco dopo volle subito chiarire la missione universale della Chiesa: “Siamo portatori di un messaggio per tutta l'umanità”.

“Noi sentiamo di fare nostra la voce dei morti e dei vivi” scandì Papa Montini “Dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace nel mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle; e di altri vivi ancora, che avanzano nuovi e fidenti, i giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità”.

Ma non bastavano queste voci. Riecheggiavano anche le parole di quel Discorso della Montagna che si tramanda nei secoli turbolenti della storia, nelle generazioni dell'umanità: “Facciamo nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso”.

Uguaglianza, giustizia, fratellanza, pace. Questi i concetti di Paolo VI, che si ripetono da cinquanta anni ogniqualvolta il Sommo Pontefice ritorna all'Assemblea generale dell'ONU. Ma forse c'è un invito che rimane indelebile nella memoria di chi ebbe la possibilità di ascoltare quel discorso di Paolo VI del 4 ottobre 1965. Fu un invito pressante, quasi un grido sommesso, che può apparire ingenuo agli orecchi disincantati di uomini oramai incalliti a decenni di guerre, di distruzioni, di rovine, ancora ardenti nel mondo. In quel pomeriggio risuonò nella sala dell'Assemblea generale l'invito accorato di Papa Montini: “Jamais plus la guerre! Jamais plus la guerre!”. Mai più la guerra. E' il grido degli uomini che vivono nel mondo, ma che non appartengono a questo mondo. E' un grido di sofferta speranza.

Qualche giorno fa Papa Bergoglio, nella conclusione del suo discorso all'Assemblea generale dell'ONU, richiamò la conclusione del discorso di Paolo VI di cinquanta anni fa. “E' l'ora in cui s'impone una sosta, un momento di raccoglimento, di ripensamento, quasi di preghiera: ripensare cioè alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune”. Una sosta: mai più la guerra. Foto tratta daWikipedia

Mai più la guerra

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