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Hip Hop 4 Peace – III° giorno: "...E quell’eco si fa strada a Bab at Tebaneh"

di Marco Picionotti Les étoiles en Liban. L’eco di queste parole lo sentiranno tutti. Dal venditore di caffè lungo la strada, fino ai soldati che piantonano la zona, coi loro fucili in spalla, che per un giorno non faranno paura a nessuno...

di Marco Picionotti


Les étoiles en Liban. L’eco di queste parole lo sentiranno tutti. Dal venditore di caffè lungo la strada, fino ai soldati che piantonano la zona, coi loro fucili in spalla, che per un giorno non faranno paura a nessuno; dagli anziani fumatori di narghilè seduti impigriti e assonnati a gruppetti, ai rappresentanti dei clan di una comunità che ha bisogno di tanti, probabilmente troppi ‘capi’, perché tutto vada per il verso giusto. Potranno sentirlo persino i direttori d’orchestra della musica mediorientale per eccellenza: gli autisti, che per un giorno dovranno rassegnarsi al fatto che i loro clacson non potranno nulla al confronto dal rap dei bambini. Quelle stelle del Libano che splendono alte già dalle 3 di un pomeriggio, che non è come tutti gli altri a Tripoli.


Il centro che ci ha ospitati a Bab at Tebaneh è una palazzina a tre piani, semplice, comune, che se non fosse per i murales fuori dall’ingresso potrebbe sembrare una qualsiasi altra cosa. Di speciale questo centro ha una cosa: il suo tetto. Un palcoscenico perfetto. Lassù un tecnico sta montando l’impianto, un po’ come fossimo a Abbey Road e volessimo chiudere questa storia qua come i Beatles, sul punto più alto del luogo dove tutto ha avuto inizio pochi giorni fa. E poi perché in Medio Oriente la forma è sostanza, più che in ogni altro luogo al mondo e farlo da lassù, festeggiare da lassù, alla stessa altezza dei minareti dei Muezzin, vorrà dire fare una festa per tutti. E farlo, in un paese dove nessuno conosce il significato di fare festa tutt’insieme. Sentiranno bene tutti quanti quello che abbiamo da dire, quello che le stelle del Libano hanno da dire, perché la musica arriverà anche a chi se ne sta lontano. Anche a chi non vuole sentirla.


Assan e Anin, due dei più piccoli fra i bambini che abbiamo conosciuto questi giorni (li avete visti nei video e nelle foto che abbiamo pubblicato) girano agitati per le scale del centro. Fermano tutti, dicendo a chiunque incontrino che è la prima volta che si esibiscono e che sono molto agitati. Lo fanno in arabo, poi in francese e alla fine qualcuno gli insegna a dirlo anche in inglese. A seconda di chi incontrano lungo le scale che percorrono di continuo, su e giù, per dare un’occhiata al palco, impaurirsi ancora un po’ di più di prima, sentir sussultare il cuore, per farlo sentire a tutti gli altri, per l’ennesima volta. E’ la paura del palcoscenico. La gioia della paura. Finalmente.


Le persone iniziano ad arrivare. La vera sorpresa è la presenza delle donne col niqab, il velo che lascia scoperti solamente gli occhi e di quelle con l’hijab, molto comune anche in Italia, che invece copre soltanto i capelli. Donne genuine, donne musulmane coi loro figli, ad un concerto rap. Ad un concerto rap degli Assalti Frontali. Basterebbe questo a rendere la cosa straordinaria. Ma succede in un quartiere difficile, povero. In un quartiere dove la povertà diventa emarginazione. Dove l’emarginazione, alimenta il radicalismo, fino a sfociare nel fondamentalismo. Ma ci circondano queste donne, ci circondano coi loro bambini. Ci circonda la loro speranza, la loro voglia di rivalsa. La loro voglia di un futuro diverso, nuovo. Arriva la rappresentativa dell’Unione Europea, arriva qualche uomo. Dalle terrazze degli altri palazzi, si affacciano altre persone. Un firmamento di gente che brilla della sua resistenza.


Ed ecco la musica, che si fa evento. L’arte, che si tramuta in politica. Uno spazio, che assume realmente un’altra forma, un diverso significato, una nuova strada. Uno spazio che diventa ‘alternativa’. Ed è la prima volta che vedo qualcosa del genere, consapevole che stia succedendo. Vedendolo distintamente nei volti, negli occhi. Ecco il free style, la performance, quel flusso di coscienza di parole e sogni, lasciati troppo tempo a frullare solamente per la testa. E che per una volta volteggeranno per aria, senza paura.


E quell’eco si fa strada a Bab at Tebaneh: “les étoiles en Liban", le stelle in Libano... Italiano, francese, arabo, inglese, quattro lingue e una sola voce: "Ho 14 anni e amo andare a scuola/Ci sono anche bambini siriani in fondo al corridoio/Io non ci parlo perché non mi va/Ma quando li vedo sento la loro tristezza...e penso che sono miei compagni”. E’ Wassim, un bambino che dice qualcosa di rivoluzionario. Semplice, ma rivoluzionario. Almeno in queste strade. Almeno in questo quartiere.








C’è il team di One Voice, tre ragazzi eccezionali, tre rapper di Tripoli che fanno quello che abbiamo fatto noi per soli tre giorni, sostanza della loro vita. Abbiamo conosciuto 3 veri combattenti, alla testa di tanti piccoli eroi: Borhan Arja, Sara Rahouly e Muhamad Baarini. Loro hanno colorato le scale che portano al centro. E poi non gli è bastato e hanno iniziato a colorare tutto il quartiere. E non gli è bastato di nuovo e hanno iniziato a far ballare ai bambini la break dance. E così via, fino al laboratorio di hip-hop e di free style. Fino al concerto di ieri. Fino alla scoperta di un cielo che può essere sereno e brillante. Loro sono l’architrave di questa storia. Sono quello che io riporto a casa. Sono la nuova forza e i nuovi sorrisi del mio cuore. Sono quello che voglio imparare a essere. Grazie ragazzi.


Tutti si scatenano, tutti cantano. Donne comprese. Donne velate comprese. Donne che hanno il coraggio di chiedere a Marcello, coi rasta fino al sedere, un alieno da queste parti, di poter farsi una foto insieme. I cambiamenti veri, sono fatti di piccoli gesti. Anche questo, un’atteggiamento impensabile fino a un’ora prima. La festa è riuscita, la più bella festa che abbia mai visto. Il messaggio è partito dal cuore di Bab at Tebaneh. La miccia si è accesa e speriamo che non si spegnerà più. E’ finita. E domani ci aspetta Beirut. Ci aspettano Sabra e Chatila, luoghi che evocano massacri, ma che vogliamo vivere e conoscere con gli occhi della speranza, ci aspetta la cultura che combatte dello Zico House. Ci aspetta tutto questo e chissà cos’altro. Ma la testa sarà sempre alta nel cielo, ad osservare la bellezza de les étoiles en Liban.

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