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145 anni fa l'arresto e la morte di Federigo Bobini detto "Gnicche"

Era il marzo del 1871 quando a Tegoleto, frazione del Comune di Civitella in Val di Chiana, il brigante aretino Federigo Bobini detto "Gnicche" trovò la morte. Una figura che ha affascinato e che affascina ancora oggi la Valdichiana e Arezzo...

Era il marzo del 1871 quando a Tegoleto, frazione del Comune di Civitella in Val di Chiana, il brigante aretino Federigo Bobini detto "Gnicche" trovò la morte.

Una figura che ha affascinato e che affascina ancora oggi la Valdichiana e Arezzo. Merito anche delle canzoni popolari e delle leggende che iniziarono a circolare dopo la morte di Gnicche, tanto da farlo diventare una sorta di brigante gentiluomo che rubava ai ricchi per dare ai poveri. Una sorta di Robin Hood aretino stando a quanto tramandato nonostante Federigo Bobini si fosse macchiato in vita di alcuni delitti.

A ricordare la data della morte del brigante aretino è stata una pagina Facebook dedicata al paese di Badia al Pino dove aveva sede la caserma dei Regi Carabinieri. A 145 anni esatti dalla morte ecco il verbale redatto all'epoca dai militari dell'arma. La sera del 14 marzo 1871 Gnicche si trovava all'interno del casolare di Alessandro Casucci nei pressi di Tegoleto quando venne scoperto dai carabinieri. Uno di loro perse addirittura una falange del dito indice della mano sinistra a causa di un morto del brigante. Ammanettato Gnicche, i carabinieri lo condussero presso la caserma di Badia al Pino, ma durante il tragitto Federigo Bobini tentò la fuga e fu allora che tre colpi di revolver lo colpirono alla schiena senza lasciargli scampo.

"Comparve d’improvviso il noto malandrino Bobini armato di tutto punto… Vederlo ed avventarglisi fu per il Mongatti un atto solo, afferrandolo al petto. Pronti lo strinsero pure gli altri due suoi colleghi e lo gettarono a terra e dopo accanita lotta riuscirono ad ammanettarlo. Nella lotta il Mongatti per morsicatura dell’assassino ebbe tronca la prima falange del dito indice della mano sinistra e gli altri due riportarono alcune sgraffiature e morsicature alle mani di poca entità. Fattolo rialzare ed avviatosi verso la caserma di Badia al Pino, ad un tratto spiccò un salto oltre la siepe laterale al fosso e velocissimo si diede alla fuga… Il carabiniere aggiunto Dilaghi gli assestò tre colpi di revolver cogliendolo alle reni in modo da farlo cadere esanime al suolo. Trasportato nella caserma di Badia al Pino, egli prima di giungervi, spirò".

Si concluse così dopo due anni la caccia all'uomo iniziata nel 1869 quando Gnicche, condannato a otto anni di prigione, si dette alla macchia per evitare il carcere. Fin da giovanissimo aveva organizzato una piccola banda in zona Santa Croce ad Arezzo, quartiere che gli aveva dato i natali. Nato in una famiglia di origini umili, Gnicche a soli 19 anni venne denunciato dal padre Sebastiano al quale aveva sottratto del denaro. Scontata la pena non limitò la sua attività di brigante iniziando a colpire nelle campagne attorno alla città. Amante del gioco, delle donne e del ballo, nella sua biografia desta scalpore la ricostruzione di quella sera in cui Gnicche voleva recarsi al Prato di Arezzo dove era stata allestita una balera. I carabinieri gli davano la caccia e allora Federigo fermò una donna in un vicolo del centro storico portandogli via i vestiti per poter ballare indisturbato grazie al travestimento.

Gli omicidi, compreso quello del giovane carabiniere a Santa Firmina dove Gnicche era stato scoperto mentre faceva visita alla fidanzata, le rapine e la fuga rocambolesca dal Palazzo Pretorio, un tempo carcere di Arezzo e oggi sede della biblioteca comunale, hanno arricchito le pagine di storia sulla vita di un brigante che in molti dopo la morte hanno definito gentiluomo. Sono molti i libri, le ricostruzioni storiche, le ballate, gli spettacoli teatrali, che nel corso degli anni hanno cercato di delineare il ritratto di una figura che a distanza di quasi 150 anni è rimasta impressa nella storia di Arezzo e della Valdichiana.

Twitter @MatteoMarzotti

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