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Giovedì, 18 Aprile 2024
Economia

La moneta “debole” aiuta ad esportare

Noto, con una certa soddisfazione personale, che i più rappresentativi premi Nobel dell’economia degli ultimi anni stanno finalmente iniziando a dire che una moneta “debole” aiuta l’economia, ed in particolar modo aiuta le esportazioni. In altre...

Noto, con una certa soddisfazione personale, che i più rappresentativi premi Nobel dell’economia degli ultimi anni stanno finalmente iniziando a dire che una moneta “debole” aiuta l’economia, ed in particolar modo aiuta le esportazioni. In altre parole una moneta che favorisce una ripresa dell’industria manifatturiera con tutti i preziosi posti di lavoro che questa si porta sempre dietro. D’altra parte anche gli eccessivi vincoli burocratici e fiscali comprimono la libertà di impresa.

Vincoli e dirigismi dei quali l’Unione Europea è purtroppo forse seconda soltanto alla defunta Unione Sovietica. Non a caso nel Regno Unito, pur non avendo l’euro essendosi tenuti ben stretti la loro sterlina per le ben diverse capacità politiche dei loro governanti dell’epoca, le persone hanno comunque votato per l’uscita dall’Unione Europea, per la Brexit. Ma non le cosiddette élite, ma bensì le persone normali che legano all’industria manifatturiera, ed ai servizi che questa si porta dietro, il loro presente ed il loro futuro lavorativo.

Ma sorvolando sulle scelte degli inglesi, che in effetti hanno una visione tutta loro del mercato comune, perché l’Unione Europea è questo e poco di più nonostante la bandiera con le stelle, l’interrogarsi sull’euro è prima che un diritto un dovere. Se siamo tutti convinti che la ripresa del paese passa per una sostenuta reindustrializzazione, che poi si porta dietro tutta l’economia, bisogna chiedersi cosa potrebbe aiutare, o meglio dire non intralciare, gli imprenditori in questo processo.

E per quanto si voglia girarci intorno la moneta, insieme ai tassi di interesse, sono tra gli elementi che decidono, almeno in tempo di pace, chi vince e chi perde nella competizione internazionale. Unitamente, va da sé, alla globalizzazione che è per lo più un arbitraggio tra i costi della mano d’opera, e delle burocrazie, nei vari paesi. E questo lo si vede dal fatto che i posti di lavoro persi negli ultimi quindici anni nel nostro paese sono risuscitati in altre parti del Mondo.

Un altro effetto della inadeguatezza della nostra classe politica nazionale che si è fatta travolgere da un fenomeno del quale solo tardi, ed in maniera insufficiente, ha saputo cogliere in parte le proporzioni. Consentendo la distruzione di interi settori produttivi, magari talvolta di non particolare eccellenza o non molto chic, ma che sono stati la fonte del benessere degli italiani per decenni. So bene che le aziende di particolare rilevanza, o di particolare fortuna, riescono comunque ad imporsi sui mercati. Ma noi abbiamo bisogno di rimettere al lavoro milioni di persone, di smettere di far scappare giovani e meno giovani dall’Italia con una emigrazione della quale si aveva appena ricordo a memoria d’uomo.

Quindi dobbiamo favorire la ripresa dell’imprenditoria, visto che lo Stato per le scelte sconsiderate degli ultimi anni non sarà per molto tempo un utile fonte di occupazione. Ed occorre anche una politica di protezione delle aziende che sono troppo spesso schiacciate da una concorrenza sleale che non rispetta gli standard di tutela del lavoro e di salvaguardia dell’ambiente. Per esempio seppur tardivamente l’Unione Europea ha recentemente posto alcuni dazi sull’acciaio cinese. Ma in maniera titubante rispetto a quanto fatto per esempio dagli Stati Uniti.

Insomma se vogliamo rimettere in moto questo paese dobbiamo correggere i tanti errori, se solo di errori si è trattato, commessi negli ultimi venti anni, ed in particolare negli ultimi dieci. E non c’è bisogno di inventare niente di nuovo. Basta vedere quello che fanno gli altri per tutelare le loro economia ed adeguarlo al caso italiano. E parlo del Regno Unito, degli Stati Uniti e del Giappone, non di qualche sperduta satrapia.

Di sicuro tutti questi importanti paesi si sono tenuti stretti la loro sovranità nazionale, e quindi anche le loro monete che hanno svalutato e rivalutato come e quando hanno voluto. Di sicuro tutti questi importanti paesi non si sono fatti imporre regole assurde, come le varie direttive euro-truffa ambientali che hanno distrutto la produzione industriale di auto in Italia a tutto vantaggio della concorrenza tedesca che le applica come abbiamo visto a piacere. Di sicuro tutti questi importanti paesi hanno mantenuto una politica di dazi internazionali che, al di là delle chiacchiere da convegno, tutela le loro produzioni. Di sicuro tutti questi importanti paesi hanno mantenuto il libero controllo della spesa pubblica, che piaccia o non piaccia, si trasforma sempre in stipendi. E di sicuro non hanno avuto presidenti del consiglio che si sono vantati, come pochissimi anni fa è purtroppo accaduto in Italia, di aver distrutto la domanda interna con i tagli e le tasse. Di buono c’è che le vie di uscita da questa triste situazione ci sono, sono scritte nero su bianco non da ieri, basta trovare il coraggio di applicarle. Coraggio, questo è il vero problema, che all’orizzonte non si vede.

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