I peccati mortali di logica e dibattiti
Dato che dalla partecipazione a dibattiti reali e virtuali mi pare ovvio che troppi ignorino le regole basilari della logica e dell’oratoria, anche se queste sono state formalizzate da Aristotele nella Retorica oltre duemila anni fa e più volte...
Dato che dalla partecipazione a dibattiti reali e virtuali mi pare ovvio che troppi ignorino le regole basilari della logica e dell’oratoria, anche se queste sono state formalizzate da Aristotele nella Retorica oltre duemila anni fa e più volte riprese, mi pare opera necessaria iniziare una serie che esemplifichi alcune fallacie così ovvie al sottoscritto quanto, pare, difficili da comprendere a quelli che gli inglesi, utilizzando un termine greco antico translitterato, chiamano hoi polloi (i molti) e che io da tempo chiamo Lorsignori. Questa espressione è talmente piaciuta da essere poi stata utilizzata da altri con accezione diversa. D’altronde chi l’ha fatto non ne conosceva finora la derivazione (che non avevo mai spiegato a nessuno), e comunque dubito conosca il greco, antico o anche moderno.
Uno dei peggiori trucchi da baraccone dei retori senza argomenti, ma uno di quelli più utilizzati al giorno d’oggi, è l’inversione dell’onere della prova.
In sostanza chi fa un’affermazione deve logicamente provarla. Invece si è diffuso il vizio di fare un’affermazione concludendo con frasi come ‘dimostrami che non è vero’. Questo ovviamente viene utilizzato dopo aver affermato le bischerate più fantasiose, solitamente derivanti da una qualche teoria complottarda o da una visione distorta e parziale di certi eventi.
Il tipico esempio di inversione di onere della prova si ha nel mondo virtuale. Senza dubbio questo è uno dei motivi che aveva portato il compianto Umberto Eco ad affermare cose impopolari che gli sono valse il plauso di alcuni e l’ira di hoi polloi.
Un esempio fra tanti è la teoria del complotto mondiale secondo la quale ci sarebbero forze oscure impegnate da anni nella distruzione di un ordine e nella creazione di un altro a loro uso e consumo, spesso identificati come rettilani, illuminati (uso la minuscola per evitare confusione con quello della frutta), gruppi vari di associazioni talvolta esistenti e altre volte fantasiose che hoi polloi sicuramente conoscono meglio del sottoscritto.
Un altro esempio, meno ovvio ma non meno dannoso, avviene quando un avvocato o un burocrate, esperti di leggi, commi e cavilli che citano a memoria nemmeno fossero le poesie più belle mai scritte, ha in qualche modo fatto scrivere da alcuni improvvidi in altre faccende affaccendati atti d’indirizzo che cambiano le cose senza aver motivo di farlo, e pretendono che, in virtù di cotali pronunciamenti, si debba spiegare perché una certa cosa non si è fatta.
Un esempio egregio di questa categoria dell’essere è quella dei regolamenti d’attuazione di alcune leggi, che con ogni probabilità volutamente ne contraddicono un’altra dozzina, e la cui reale intenzione è neutralizzare la legge approvata per evitare che entri in vigore davvero, Spesso, manco a dirlo, questo viene fatto in presenza di regole che diminuirebbero il potere di codesti geni del cavillo.
La prossima volta affronteremo l’argomentum ad hominem, uno dei preferiti dai bercioni populisti.