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È primavera, tempo di industria: le vicende aretine ripercorse da Berti e Nocentini

Luca Berti, Presidente della Società Storica Aretina, Direttore di “Notizie di Storia” e molti altri titoli che adesso tralascio, ha presentato, nel pomeriggio del 21 marzo, all’Auditorium Ducci già carceri medievali sotto la torre del Comune, in...

Luca Berti, Presidente della Società Storica Aretina, Direttore di “Notizie di Storia” e molti altri titoli che adesso tralascio, ha presentato, nel pomeriggio del 21 marzo, all’Auditorium Ducci già carceri medievali sotto la torre del Comune, in Piazza della Libertà, la studiosa Tiziana Nocentini che ha ripercorso le vicende della gloriosa AREZZO INDUSTRIALE, partendo dalle oltre 70 filande a vapore ottocentesche, per arrivare a Sacfem, Bastanzetti, UnoAR, Lebole, Ingram, Marconi, Prada, Ceia.

Luca Berti ha poi moderato gli interventi dal pubblico contro la deindustrializzazione e il modo in cui è stata attuata ad Arezzo, contestualizzando ed aprendo a prospettive nuove.

Gli ex Sacfem sono stati i più ad intervenire: Poponcini, Sacchetti Giorgio che ha ricordato come i metallurgici costruttori di treni e rotaie, svolgessero anche lavori socialmente utili come la verniciatura delle cancellate dello stadio. Nemmeno una commissione da 6 miliardi, in Sud Africa, ha potuto evitare la chiusura del Fabbricone strangolato dalla speculazione edilizia. Da una costola sacre, è nata Ceia di Manneschi, così come dalla UnoAR si è generato il distretto orafo degli operai che diventano imprenditori.

Il Dott. Cherubini ha evidenziato che Sacfem avrebbe dovuto competere sulla qualità, non inseguendo l’abbassamento selvaggio dei costi perseguito dalle Tigri orientali.

Il Prof. Marchetti ha citato 8uno studio dell’Università di Zurigo, sui Comparti Economici, che boccia l’area vasta Siena – Arezzo – Grosseto, la quale tra l’altro ha portato a Siena la lavorazione delle uniformi militari che era prerogativa di Arezzo sin dai tempi del Granduca.

Il futuro sono le famiglie aretine che sono rimaste sul nostro territorio, lavorando anonimamente ma profittevolmente per griffes quali Gucci, Prada, Dolce e Gabbana made in Arezzo: meno occupati, più valore aggiunto, in attesa di un nuovo boom economico che faccia riemergere il vasto saper fare tradizionale, tipico della nostra gente, dai meccanici ai dirigenti.

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