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Cultura

Forum Arte Contemporanea Prato. Separare la cultura dalla politica: un’urgenza

Nell’ultimo weekend settembrino, il centro storico di Prato si è rivelato luogo di dibattiti e confronti in materia d’arte contemporanea. Al via il primo Forum dell’Arte Contemporanea organizzato dal Museo Pecci, quest’ultimo da poco segnalato...

Nell’ultimo weekend settembrino, il centro storico di Prato si è rivelato luogo di dibattiti e confronti in materia d’arte contemporanea. Al via il primo Forum dell’Arte Contemporanea organizzato dal Museo Pecci, quest’ultimo da poco segnalato come organismo di coordinamento per l’arte contemporanea della Regione Toscana. Tre i luoghi del Forum, al teatro Metastasio dove si è tenuta la presentazione, al Monash University e al palazzo Banci Buonamici sede della Provincia. Curatori, direttori, storici dell’arte, galleristi, artisti e gente comune si sono riuniti a dei tavoli di discussione per moderare, lanciare delle opinioni o comunque riflettere su quanto sta accadendo al mondo dell’arte contemporanea. Le tematiche sono state tra le più variegate e ognuna a mio avviso meriterebbe ulteriori approfondimenti, ma vediamo di fare il punto e parlare un po’ alla volta di quanto si è discusso. Riassumendo le parole del Direttore del Museo Pecci, Fabio Cavallucci, che aveva anche il compito di coordinare i lavori, la prima impressione che ha avuto rientrando da pochi anni dall’estero, è quella senza dubbio che: La nostra Italia si sia trasformata in una sorta di esercito dopo Caporetto, uno senza una gamba, uno senza un braccio, un altro senza un occhio. Nell’arte contemporanea si contano feriti e morti e tutto per la crisi economica e l’assenza di soldi (…). Di certo la presenza degli artisti italiani alle biennali internazionali non è tra le più esaustive, continua il Direttore snocciolando dati alla mano: zero presenze a Istanbul 2014, una a quella di Sidney e di Berlino 2014, nessuna a Manifesta e a San Paolo 2014 ma ben quattro presenze a quella di Venezia e cinque presenze a Istanbul 2015. Tralasciando le ultime due, sembra quasi che il sistema dell’arte internazionale snobbi quella italiana e ciò perché negli anni tutta la struttura non è riuscita, sia ad incentivare il lavoro degli artisti tanto meno a sostenerli nei viaggi oltreoceano perdendo così di credibilità.

Che cosa è accaduto al sistema italiano che non è ancora in grado di confrontarsi con gli artisti emergenti? E qui veniamo a un altro tema caldo della giornata, quello della formazione portata avanti dalle Istituzioni, ne sono un esempio le Accademie ancora reticenti nel suggerire agli allievi, prima e dopo gli studi, a recarsi e a capire come funzionino le gallerie, le loro future e principali datrici di lavoro. In questi anni, la promozione dell’artista è stata super potenziata, a fronte della perdita del sano e costruttivo dibattito critico. Dove una volta, le opere erano analizzate e discusse insieme all’artista adesso, si va alle inaugurazioni il più delle volte per il brindisi finale, spesso non si guardano le opere e comunque non sono discusse e approfondite né nel bene né nel male. A questa dichiarazione arriva la proposta emersa dal tavolo di discussione, inerente all’idea che la formazione della cultura non possa più avvenire "dall'alto”, ma che vadano riscritti i metodi didattici, con docenze "orizzontali” e non cattedratiche. Per non parlare di censura e autocensura che imperversa nel nostro paese. L’artista italiano, il curatore o il direttore non possono trattare certi argomenti perché vietati come il sesso, la religione o la politica scivolando in un modello di arte fortemente imbrigliata in cui l’artista avrà poco da esprimere. L’unica salvezza sembra offerta dalla necessità di fare rete, pensiamo ad ARTSlantT Londra una comunità mondiale di artisti professionisti e curatori che si muovono nel web senza vincoli di sorta.

Molti dunque i temi, che cercherò di riprendere nei successivi articoli, quello che mi preme riportare qui, dato che la sensazione generale trovava più o meno tutti d’accordo i partecipanti al Forum, è quella di iniziare a pensare alla creazione di un’Istituzione italiana che si avvicini almeno a dei modelli europei in cui la distanza della politica e dell’istituzione dall’arte e dalla cultura è nettamente scissa. E’ il caso della Fondazione svizzera per la cultura Pro Helvetia un organo di diritto pubblico, interamente finanziato dalla Confederazione, completando la valorizzazione della cultura svolta da Cantoni e Comuni. Da non sottovalutare il fatto che la Fondazione assume autonomamente le sue decisioni in materia di promozione, Patrick Gosatti, curatore del dipartimento Arti Visive Pro Helvetia, ha tenuto a ribadire che la maggiore implementazione offerta dall’organizzazione è quella di mettere nero su bianco sia gli scopi che i fondi ad essi confluiti consultandoli all’interno del sito www.prohelvetia.ch.

Più netto e di stampo anglosassone il caso della Gran Bretagna mostrato da Nick McDowell Direttore dell’International Arts Council www.artscouncil.org.uk, il quale precisa come la distanza dalla politica ha permesso di riflettersi in un approccio principalmente olistico, secondo cui l’eccellenza dell’arte deve essere celebrata in tutti i settori e in tutte le Istituzioni: dalle Biblioteche ai Musei, alle Fondazioni, così che la strategia culturale si trovi ad essere spalmata in un lasso di tempo di dieci anni permettendo addirittura l’accesso gratuito ai musei nazionali. Infine, il caso della Polonia illustrato da Hanna Wróblewska, Direttore Zacheta, Membro del Forum dei cittadini per l’arte contemporanea, che spiega come a partire dal nuovo modello di Stato riconquistato nel 1989, la Nazione abbia inserito nell’articolo 73 un nuovo modello di società civile basato sulla politica e l’arte. Di seguito, riporto l’articolo 73: “A ciascuno si assicura la libertà della creazione artistica, della ricerca scientifica e della pubblicazione dei risultati, la libertà dell’insegnamento, e così anche il libero utilizzo dei beni culturali.” L’articolo, impugnato inizialmente dal Movimento dei Cittadini per trovare fondi da destinare alla cultura, ebbe una prima svolta nel 2010 quando fu affiancato dagli attivisti e, una seconda nel 2014, quando nella città di Varsavia fu ratificato il patto culturale. Ma cosa ha d’interessante e di fattivo questo patto per la Polonia? Intanto il documento evidenzia le spese da prendere in considerazione all’aumento dell’investimento nazionale, mentre tra le varie iniziative meritevole è quella in materia di diritti d’autore che risultano adesso di dominio pubblico ed oltre ad essere aumentati, hanno generato di conseguenza una maggiore autonomia degli uffici pubblici. Questi ultimi hanno così potuto finanziare molti più programmi avendo ottenuto più trasparenza e conoscenza nei confronti dei cittadini della spesa pubblica. La rete sociale è stata poi la forza trainante incentivata tramite un ordinamento speciale che potesse attivare e accelerare questo tipo di normativa. Nel complesso i polacchi, conclude la Direttrice: possono essere più che contenti se il loro fondo destinato alla cultura per l’anno 2015 si sia incrementato di un ulteriore 1% rispetto allo scorso anno. La politica svolta è stata quindi quella di appoggiarsi a un Movimento informale dove il cittadino era al centro dell’azione pubblica. Work in progress in Italia, come ammette Federica Galloni, Direttore Generale Arte e Architettura Contemporanea e Periferie Urbane, MIBACT, che se per i paesi sopra nominati ormai lo scoglio è passato, qui ancora dobbiamo risolvere i soliti argomenti inerenti alla capacità fiscale di entrata statale e continuità dei progetti, rafforzando ancora di più la rete di intermediazione tra il Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini e i Comuni Italiani (Anci). Un altro problema da non sottovalutare e poi quello degli statuti all’interno dei singoli musei che non sempre sono chiari così che il direttore si ritrova ogni giorno a interpretare più o meno confusamente i vari programmi.

A conclusione credo che per adesso l’unica nota positiva sia data da un atto pubblico e privato che mira finalmente a creare delle proposte concrete per il futuro. Il protocollo firmato lo scorso giugno 2015 tra il Ministro Dario Franceschini e il Presidente delle Fondazioni, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo entrambi portavoce di un programma di cooperazione in partnership a sostegno delle istituzioni culturali italiane sia pubbliche che private.

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