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La magia dell'ocio in porchetta: una ricetta da applausi a scena aperta

Una preparazione facilissima sulla carta ma riservata ad esperte massaie che richiede istinto e capacità

  • Categoria

    Secondo
  • Difficoltà

    Facile
  • Tempo

    2 ore
  • Dosi

    10 persone
  • 1 ocio di 2,5 chili pulito
  • finocchio selvatico
  • aglio
  • sale
  • pepe

Procedimento

Pulite l'animale avendo cura di fiammeggiarlo per rimuovere tutti i residui di piume. Mettete via fegato e collo (utili per altre preparazioni), eliminate le punte delle ali, zampe, testa e i grumi di grasso che riuscite a raggiungere all'interno. Una volta pulito, lavatelo, asciugatelo e iniziate ad "impillottarlo" (riempierlo in vernacolo ndr) con sale, pepe e una decina di spicchi d'aglio. Aggiungete anche del finocchio selvatico. All'esterno, massaggiate la pelle dell'animale con sale, pepe e un poco d'olio. Mettetelo in forno a 180/200°. Man mano che la cottura avanza la carne inizierà a rilasciare il grasso. Si consiglia di raccogliere ogni tanto questo liquido e bagnarvi l'arrosto così da dorare l'esterno alla perfezione. La cottura, a regola, prevede un'ora per ogni chilo di peso dell'animale. Una volta pronto estraete la taglia e lasciate raffreddare l'arrosto per mezz'ora prima di avviare a sezionarlo. Nel frattempo potete riprendere la teglia con il grasso e rimettela in forno inserendovi delle patate che arrostirete e poi servirete insieme al regal pennuto.

La ricetta

L'ocio in porchetta fa subito festa. Sì, abbiamo fatto la rima di proposito perchè pensare a questo piatto rende gli occhi brillanti, le papille scalpitanti e i cuori scintillanti. Ok, basta con le rime. Però è così, l'ocio (oca domestica per chi se lo chiedesse) è una di quelle pietanze che rendono il pasto un momento di gioia e condivisione. Se poi lo si porta in tavola ben arrostito e porchettato bè, non si può altro che ottenere uno scrosciante applauso. Semplice, semplicissimo, ma fantastico. L'alchimia creata dal pennuto, il sale, il pepe, l'aglio e il finocchio selvatico non teme confronti. Una carne saporita e bella "cicciosa" che i nostri nonni, e i nonni dei nostri nonni, consumavano nelle giornate di grande festa o durante eventi quali la battitura del grano o la vendemmia. Stuole di massaie dopo aver "impillottato" (imbottito, contito internamente, ndr) aie intere di regal pennuti, si dirigevano spietate e bellissime verso i forni a legna dove davano vita alla magia. Cucinarlo è molto facile sulla carta ma, non lasciatevi ingannare, ci vuole occhio ed esperienza per sfornare il perfetto ocio in porchetta.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

Un piatto ricco della tradizione merita un vino altrettanto generoso. Anzi, due. Vediamo come può cambiare il nostro calice a seconda che si mangi la porchetta calda, appena sfornata, oppure raffreddata, perché ne è avanzata un po' per il giorno seguente.

OPZIONE 1 - La carne dell'oca toscana è grassa per definizione, i grassi fusi donano all'arrosto una certa untuosità che può aumentare se si bagna la fetta di oca servita nel piatto con qualche cucchiaio di ciò che è rimasto nella taglia. Avremo tendenza dolce della carne, succulenza data dalla masticazione, un po' di untuosità. Un piatto dotato di aromaticità, speziatura e persistenza trainata dai grassi. Una punta di tendenza amarognola, se nel boccone troviamo un po' di finocchio selvatico. La succulenza necessita alcol, l'untuosità un po' di tannino, serve grande acidità per contrastare la tendenza dolce. Il vino dovrà essere persistente in bocca e con una certa ampiezza del ventaglio aromatico: serve un vino giovane e di qualità, rimanendo in Toscana può fare al caso nostro un Rosso di Montepulciano Doc, a base Prugnolo gentile (un clone del Sangiovese).

OPZIONE 2 - Le fette di carne avanzate possono essere servite fredde, magari accompagnate da una salsa. In ogni caso, non avremo più untuosità: i grassi solidificati conferiranno grassezza al piatto. Le altre caratteristiche restano invariate. Per contrastare la grassezza non abbiamo più bisogno di tannino, ma di sapidità, meglio se abbinata all'effervescenza. Via il rosso, dentro le bollicine: un buon alleato può essere uno spumante Durello Lessini Doc.

L'ocio in porchetta fa subito festa. Sì, abbiamo fatto la rima di proposito perchè pensare a questo piatto rende gli occhi brillanti, le papille scalpitanti e i cuori scintillanti. Ok, basta con le rime. Però è così, l'ocio (oca domestica per chi se lo chiedesse) è una di quelle pietanze che rendono il pasto un momento di gioia e condivisione. Se poi lo si porta in tavola ben arrostito e porchettato bè, non si può altro che ottenere uno scrosciante applauso. Semplice, semplicissimo, ma fantastico. L'alchimia creata dal pennuto, il sale, il pepe, l'aglio e il finocchio selvatico non teme confronti. Una carne saporita e bella "cicciosa" che i nostri nonni, e i nonni dei nostri nonni, consumavano nelle giornate di grande festa o durante eventi quali la battitura del grano o la vendemmia. Stuole di massaie dopo aver "impillottato" (imbottito, contito internamente, ndr) aie intere di regal pennuti, si dirigevano spietate e bellissime verso i forni a legna dove davano vita alla magia. Cucinarlo è molto facile sulla carta ma, non lasciatevi ingannare, ci vuole occhio ed esperienza per sfornare il perfetto ocio in porchetta.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

Un piatto ricco della tradizione merita un vino altrettanto generoso. Anzi, due. Vediamo come può cambiare il nostro calice a seconda che si mangi la porchetta calda, appena sfornata, oppure raffreddata, perché ne è avanzata un po' per il giorno seguente.

OPZIONE 1 - La carne dell'oca toscana è grassa per definizione, i grassi fusi donano all'arrosto una certa untuosità che può aumentare se si bagna la fetta di oca servita nel piatto con qualche cucchiaio di ciò che è rimasto nella taglia. Avremo tendenza dolce della carne, succulenza data dalla masticazione, un po' di untuosità. Un piatto dotato di aromaticità, speziatura e persistenza trainata dai grassi. Una punta di tendenza amarognola, se nel boccone troviamo un po' di finocchio selvatico. La succulenza necessita alcol, l'untuosità un po' di tannino, serve grande acidità per contrastare la tendenza dolce. Il vino dovrà essere persistente in bocca e con una certa ampiezza del ventaglio aromatico: serve un vino giovane e di qualità, rimanendo in Toscana può fare al caso nostro un Rosso di Montepulciano Doc, a base Prugnolo gentile (un clone del Sangiovese).

OPZIONE 2 - Le fette di carne avanzate possono essere servite fredde, magari accompagnate da una salsa. In ogni caso, non avremo più untuosità: i grassi solidificati conferiranno grassezza al piatto. Le altre caratteristiche restano invariate. Per contrastare la grassezza non abbiamo più bisogno di tannino, ma di sapidità, meglio se abbinata all'effervescenza. Via il rosso, dentro le bollicine: un buon alleato può essere uno spumante Durello Lessini Doc.

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