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Giovedì, 25 Aprile 2024

La nana arrosto: una ricetta scritta nel dna aretino e immortalata da Giorgio Vasari

Se c'è qualcosa che va bene ogni stagione, ogni momento dell'anno e ad ogni età è la nana arrosto. Un secondo ricco di gusto ma delicatissimo

  • Categoria

    Secondo
  • Difficoltà

    Facile
  • Tempo

    2 ore
  • Dosi

    Sei persone
  • 1 anatra di grandezza media (circa 1,5 chilo)
  • 2-3 rametti di rosmarino freschissimo
  • 15-20 foglioline di salvia
  • semi di finocchio (q.b)
  • 1 bicchiere circa di vino bianco

Procedimento

Solitamente la nana viene venduta spiumata e sventrata pronta per essere condita e cucinata. Ma nel caso in cui così non dovesse essere ecco come pulirla.

Eliminate le penne; lavate con cura l'anatra spennata, asciugatela e disponetela su un piano di lavoro. Incidete con un coltello vicino all'attaccatura del petto ed estraete le interiora e il gozzo eliminando il grasso in eccesso. Risciacquate bene e fate sgocciolare l'acqua in eccesso.

Successivamente miscelare un pizzico di semi di finocchio con una presa di sale e una macinata di pepe. Dividere a metà 2 spicchi d’aglio e rivestirli con la miscela di sale, pepe e finocchio. Dopo aver asciugato l’anatra con la carta da cucina, con un coltellino appuntito fare un’incisione all’attaccatura delle cosce e alla base dei petti infilando il coltello parallelamente alla pelle e verso la parte superiore del volatile. Infilare i mezzi spicchi d’aglio insaporiti nelle incisioni.

Condire poi l’interno dell’anatra con sale e pepe e una decina di spicchi d’aglio in camicia un po’ schiacciati e un mazzetto di rametti di finocchio. Chiudere le due aperture con gli stuzzicadenti, poi ungere leggermente tutta la superficie del volatile con un filo d’olio per fare aderire sale e pepe. Sistemarla su una teglia con sul fondo, se possibile, una griglietta che mantenga l’anatra sollevata.

Riporre la teglia nel forno precedentemente scaldato a 200° e farla cuocere per circa un’ora e mezzo. Dopo la prima mezz’ora, la girarla e punzecchiare più volte la pelle nei punti dove è più spessa. Negli ultimi 10 minuti di cottura, alzare la temperatura del forno per far diventare la pelle croccante. A fine cottura, lasciarla riposare nel forno spento per una decina di minuti. Servire caldissima, tagliata a pezzi, accompagnandola con patatine rosolate in padella e un’insalata.

Ps. Per mantenere la nana succulenta ma non troppo pesante si consiglia di rimuovere il grasso espluso dall'animale a metà cottura che si sarà raccolto sul fondo e, se necessario, ripetete l’operazione dopo un’altra mezz’ora.

La ricetta

Che cosa mangiasse Giorgio Vasari è un mistero.
Al contrario di altri suoi coetanei che hanno lasciato ampia documentazione di piatti e pietanze predilette lui no, non lo ha fatto. O forse non lo ha fatto direttamente.

Già, perché nella sua celeberrima opera Convito per le nozze di Ester e Assuero, dipinto che domina ancora oggi la galleria del museo di arte moderna e medievale di Arezzo, si vedono chiaramente tavole imbandite di succulente leccornie.

Nei piatti dipinti da Vasari si distingue anche una carne servita con vino e pane.
Una carne. Un banchetto. Del vino. Del pane. Quattro indizi che portano ad un unico e inequivocabile risultato. Quella è nana (anatra in vernacolo ndr). Ma d'altronde, quale altro piatto l'aretino Giorgio avrebbe potuto immortalare?

L'anatra all'aretina è una ricetta che racconta un’epoca, il sedicesimo secolo, dove le carni venivano utilizzate solo dalle classi sociali più abbienti e cucinate con spezie, odori e condimenti tali da riuscire a migliorarne il sapore. Visto che non esistevano metodi particolarmente efficaci di conservazione l'alternativa per non rinunciarvi era una sola: cuore a fuoco vivo e condire di brutto. 

Così l'anatra mangiata in quel periodo plausibilmente assomigliava ad un "arrosto morto" cotto a fuoco vivo con odori, sale, pepe e noce moscata.

Ma se l'anatra dei tempi di Vasari era (ed è) una leccornia tutta Rinascimentale, il groove e la grinta della terra "Intra Tevere et Arno" si sintetizzano al meglio con un semplice e robusto arrosto in forno, vera evoluzione darwiniana della ricetta.

La nana arrosto è la felicità fatta pennuto. E' il sapore della festa, della convivialità, delle mani e della bazza (mento in vernacolo ndr) unte. E' parte del codice genetico di una popolazione intera che si unisce dal Valdarno alla Valtiberina, dal Casentino alla Valdichiana arrivando fino in piazza Grande.

Un animale così nobile da trasformarsi in un arrosto così delicato, polposo e soave da avvicinare lo spirito umano alla divinità e rinsaldare il sano e robusto principio secondo il quale per l’aretino la nana può essere: nell’aia, arrosto o trasformata in sugo. E noi, questa volta, la mettiamo in forno.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

Questo tipo di arrosto è ricchissimo, un piatto dotato di struttura, pur partendo da una carne bianca (ma atipica, a metà strada tra una carne bianca e una nera della selvaggina). E' un secondo elaborato, che ha un'ottima persistenza gusto-olfattiva. E' dotato di speziatura e aromaticità. Tutti elementi che concorrono a farci propendere per un vino dotato di corpo e di Pai (persistenza aromatica intensa). Servono poi tannino e alcol, per combattere le elevate succulenza e untuosità della pietanza. Pare scontato l'abbinamento con un vino rosso? Invece no, soprattutto se abbiamo sfumato la nana col vino bianco. Ma abbiamo bisogno di acidità e sapidità nel calice per contrastare sia la tendenza dolce della carne che la sua grassezza. La risposta può essere un orange wine, un'ottima Ribolla gialla Venezia Giulia Igt, ad esempio. Magari con qualche anno sulle spalle. Figlia di macerazione sulle bucce (che dona il tannino) e affinamento in anfora. Freschissima anche dopo anni, saporita, persistente. Un grande vino per un piatto importante. 

(Mat.Cial.)

Che cosa mangiasse Giorgio Vasari è un mistero.
Al contrario di altri suoi coetanei che hanno lasciato ampia documentazione di piatti e pietanze predilette lui no, non lo ha fatto. O forse non lo ha fatto direttamente.

Già, perché nella sua celeberrima opera Convito per le nozze di Ester e Assuero, dipinto che domina ancora oggi la galleria del museo di arte moderna e medievale di Arezzo, si vedono chiaramente tavole imbandite di succulente leccornie.

Nei piatti dipinti da Vasari si distingue anche una carne servita con vino e pane.
Una carne. Un banchetto. Del vino. Del pane. Quattro indizi che portano ad un unico e inequivocabile risultato. Quella è nana (anatra in vernacolo ndr). Ma d'altronde, quale altro piatto l'aretino Giorgio avrebbe potuto immortalare?

L'anatra all'aretina è una ricetta che racconta un’epoca, il sedicesimo secolo, dove le carni venivano utilizzate solo dalle classi sociali più abbienti e cucinate con spezie, odori e condimenti tali da riuscire a migliorarne il sapore. Visto che non esistevano metodi particolarmente efficaci di conservazione l'alternativa per non rinunciarvi era una sola: cuore a fuoco vivo e condire di brutto. 

Così l'anatra mangiata in quel periodo plausibilmente assomigliava ad un "arrosto morto" cotto a fuoco vivo con odori, sale, pepe e noce moscata.

Ma se l'anatra dei tempi di Vasari era (ed è) una leccornia tutta Rinascimentale, il groove e la grinta della terra "Intra Tevere et Arno" si sintetizzano al meglio con un semplice e robusto arrosto in forno, vera evoluzione darwiniana della ricetta.

La nana arrosto è la felicità fatta pennuto. E' il sapore della festa, della convivialità, delle mani e della bazza (mento in vernacolo ndr) unte. E' parte del codice genetico di una popolazione intera che si unisce dal Valdarno alla Valtiberina, dal Casentino alla Valdichiana arrivando fino in piazza Grande.

Un animale così nobile da trasformarsi in un arrosto così delicato, polposo e soave da avvicinare lo spirito umano alla divinità e rinsaldare il sano e robusto principio secondo il quale per l’aretino la nana può essere: nell’aia, arrosto o trasformata in sugo. E noi, questa volta, la mettiamo in forno.

(ClaFa)

Un calice in abbinamento

Questo tipo di arrosto è ricchissimo, un piatto dotato di struttura, pur partendo da una carne bianca (ma atipica, a metà strada tra una carne bianca e una nera della selvaggina). E' un secondo elaborato, che ha un'ottima persistenza gusto-olfattiva. E' dotato di speziatura e aromaticità. Tutti elementi che concorrono a farci propendere per un vino dotato di corpo e di Pai (persistenza aromatica intensa). Servono poi tannino e alcol, per combattere le elevate succulenza e untuosità della pietanza. Pare scontato l'abbinamento con un vino rosso? Invece no, soprattutto se abbiamo sfumato la nana col vino bianco. Ma abbiamo bisogno di acidità e sapidità nel calice per contrastare sia la tendenza dolce della carne che la sua grassezza. La risposta può essere un orange wine, un'ottima Ribolla gialla Venezia Giulia Igt, ad esempio. Magari con qualche anno sulle spalle. Figlia di macerazione sulle bucce (che dona il tannino) e affinamento in anfora. Freschissima anche dopo anni, saporita, persistente. Un grande vino per un piatto importante. 

(Mat.Cial.)

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