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Cronaca

Una "start up" di false griffe riforniva le boutique italiane: abiti contraffatti anche ad Arezzo

Le persone denunciate, sia per introduzione e commercio di prodotti contraffatti che per ricettazione, sono state 35. Un giro d'affari enorme: 15mila i capi sequestrati in 12 regioni per un valore complessivo di 4 milioni e 500mila euro

Da Osimo alle boutique di mezza Italia, compresa la provincia di Arezzo. Erano molte le destinazioni di abiti e accessori di lusso contraffatti che venivano commerciati da una vera e propria "start up" smascherata dalla Guardia di Finanza di Ancona nell'ambito dell'operazione "Spider web". Un'attività di indagine che ha portato alla luce un traffico di prodotti "taroccati" distribuiti anche ad  Ancona, Pesaro, Roma, Milano, Torino, Napoli, Pisa, Palermo, Bologna, Rimini, e Reggio Calabria.

I numeri, come riporta la testata Ancona Today, mostrano un giro d'affari enorme: 15mila i capi sequestrati in 12 regioni per un valore complessivo di 4 milioni e 500mila euro. Le persone denunciate, sia per introduzione e commercio di prodotti contraffatti che per ricettazione, sono state 35. Tra queste anche l’insospettabile coppia di Osimo che da almeno 6 mesi gestiva tutto tramite una piattaforma digitale creata ad hoc. Gli altri finiti sotto l’occhio della magistratura sono i titolari degli esercizi commerciali che, secondo le accuse, acquistavano consapevolmente i pezzi dal sito della coppia marchigiana. Tutti rischiano fino a 12 anni di reclusione. 

Il modus operandi

Il cuore nel mercato della contraffazione si trovava a Osimo: qui un 44enne e la moglie di un anno più giovane, incensurati, avevano attivato una piattaforma digitale che pubblicizzava la vendita di vestiti e accessori di marca a prezzi concorrenziali. Come era possibile? Perché, stando a quanto hanno rilevato gli inquirenti, era tutto contraffatto. Prodotti realizzati con grande attenzione ai minimi dettagli, tanto che coprire che erano dei falsi era necessario un occhio esperto.

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La coppia ordinava la merce dalla Turchia e acquistava solo “sul già venduto”. I negozianti delle varie città si registravano sulla piattaforma utilizzando una password che i coniugi fornivano via Whatsapp. Gli ordini venivano pagati con bonifico o ricaricando delle Postepay. Solo dopo il pagamento, la coppia passava all'acquisto dei prodotti, facendoli arrivare direttamente al punto vendita attraverso corrieri ignari del traffico illegale.

Ecco dunque che in negozio giungeva, ad esempio, un pantalone di marca venduto per ben 450 euro o magliette a 300 euro. Le contraffazioni erano talmente ben fatte che i finanzieri si sono dovuti avvalere anche del personale delle ditte produttrici per accertare i fake.

Il codice QR

I capi erano inoltre dotati di codice QR, ovvero “Quick Response”. E’ il codice presente sui prodotti originali che permette, attraverso la scansione con una semplice app, di verificare se quello specifico prodotto è stato fabbricato o meno dall’azienda madre. In questo caso, la scansione del codice rimandava il consumatore non alla vetrina ufficiale dell’azienda produttrice, ma un sito generico di vendite online

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