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Cronaca

Prima condannata e poi assolta per non aver versato 300mila euro di Iva. Fanfani: "Sentenza che farà giurisprudenza"

E' una sentenza destinata a fare giurisprudenza quella con la quale la Corte d'appello di Firenze ha assolto, a sorpresa, Jessica Mancini - figlia di Piero Mancini - dall'accusa - che gli era costata una condanna  in primo grado - per aver omesso...

E' una sentenza destinata a fare giurisprudenza quella con la quale la Corte d'appello di Firenze ha assolto, a sorpresa, Jessica Mancini - figlia di Piero Mancini - dall'accusa - che gli era costata una condanna in primo grado - per aver omesso versamenti di Iva per 300mila euro quando era presidente del cda della Cometi, società del padre. La strategia difensiva, intessuta dall'avvocato Luca Fanfani, ha portato ad una assoluzione piena. Sentenza che farà scuola: mai fino ad ora infatti Cassazione, Corte d'Appello e altri tribunali si erano espressi in questo modo di fronte ad un caso simile.

La vicenda risale al dicembre 2010. Fu allora che la giovane finì nei guai. Aveva accettato l'incarico su richiesta del padre, perché le vicende giudiziare del genitore avrebbero potuto rallentare i lavori di quella società che in quel momento era fiorente. Ma dopo un anno vennero a galla i problemi e gli inquirenti scoprirono l'omissione del versamento dell'Iva. La donna, pur senza percepire compensi e senza gestire di fatto nulla degli affari della Cometi (tutto era in mano ad un amministratore delegato), svolgendo solo un ruolo di rappresentanza, fu accusata dell'omesso versamento in quanto legale rappresentate della società.

La vicenda finì in tribunale e la sentenza emessa il 18 maggio del 2015 dal giudice Tagano, all'epoca al tribunale di Arezzo, fu pesante: 4 mesi di reclusione e la confisca di beni propri per un valore equivalente a 300mila euro.

A due anni di distanza però, l'intera vicenda si è ribaltata: la Corte d'Appello di Firenze, nonostante il procuratore generale avesse richiesto la condanna, ha sposato la tesi della difesa. "E' stato incrinato in questo modo - ha commentato l'avvocato Luca Fanfani - un automatismo in base al quale, la persona che riveste un ruolo di quel genere in una società, indipendentemente dal fatto che sia un prestanome, viene ritenuto di fronte alla legge responsabile e quindi possa venir condannato. Adesso, con la sentenza della corte d'appello,le cui motivazioni saranno rese note tra 90 giorni, si ammette che possono esserci peculiarità tali da poter assolvere la persona che ricopre il ruolo di legale rappresentante".

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