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Cronaca

Fort Knox, la parola ai difensori: le arringhe finali tra patteggiamenti e riti abbreviati

Una giornata intensa con gli avvocati degli imputati della vicenda Fort Knox che hanno preso la parola per le arringhe finali. Sono in 12 quest'oggi a parlare per i propri assistiti di fronte al giudice Cecchi. Molti hanno optato per il rito...

Una giornata intensa con gli avvocati degli imputati della vicenda Fort Knox che hanno preso la parola per le arringhe finali. Sono in 12 quest'oggi a parlare per i propri assistiti di fronte al giudice Cecchi. Molti hanno optato per il rito abbreviato, altri hanno deciso di imboccare la strada del patteggiamento.

L'udienza si preannuncia lunga e sarà aggiornata al prossimo 17 ottobre per terminare le arringhe dei difensori.

Nella sua requisitoria il pm Marco Dioni ha chiesto che per le 34 richieste di patteggiamento, gli accordi (con pene massime di due anni) raggiunti con i difensori fossero giudicati equi, per chi ha chiesto il rito abbreviato, 19 persone in tutto, il pm ha chiesto varie condanne, tra le quali due anni e due mesi per la persona che era considerata un punto di riferimento per gli orafi a Napoli. Per tutti, compresi gli otto che hanno deciso di intraprendere il rito ordinario, è stato quindi chiesto il rinvio a giudizio.

Oggi proseguono i difensori nelle proprie arringhe: tra gli obiettivi anche quello di evitare, in tutto o in parte, la confisca dei beni, per un totale di 30 milioni. LA VICENDA

L’inchiesta partì con un blitz della Guardia di Finanza, nel 2012, in un casolare di Manciano (denominato appunto Fort Knox). Le fiamme gialle scoprirono un giro di metallo a nero – soprattutto oro – per un volume d’affari che all’epoca gli inquirenti stimarono in circa 180 milioni di euro. Il casolare, di proprietà dell’imprenditore Michele Ascione, era una sorta di “centrale” dove avvenivano gli scambi. Il deus ex machina dell’organizzazione, secondo l’accusa, sarebbe stato un finanziere residente in Svizzera, Peter Kamata. Gli indagati sono sia aretini che partenopei e anche le perquisizioni (oltre 200) si svolsero tra Arezzo e Napoli. Secondo la ricostruzione della procura, il meccanismo partiva con la vendita di gioielli in compro-oro della Campania: il metallo veniva poi trasformato in lingotti che poi finivano in Svizzera in cambio di soldi. Tutto a nero.

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