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Cronaca

Ben oltre 11 milioni di euro tornano ai Moretti. Gli avvocati: "Bene, ma che amarezza. Due società intanto sono fallite"

Inizialmente erano state sequestrate proprietà per quasi 37 milioni di euro, adesso la soglia si abbassa a 25,5. I legali difensori al contrattacco: "Vogliamo un processo subito"

Oltre undici milioni euro restituiti alla famiglia Moretti: Antonio e Andrea, padre e figlio, sono noti imprenditori del vino e dell’abbigliamento finiti nei guai assieme ad altre persone nel novembre 2018 per reati tributari, bancari e riciclaggio. Quattordici in tutto gli indagati.

Il provvedimento di dissequestro è stato disposto dal pm di Arezzo Marco Dioni, titolare dell’inchiesta.

Non solo: il magistrato ha preso atto dell'assenza di prove nei confronti di sei indagati. Per loro si profila l’archiviazione, per gli altri otto, invece, potrebbe arrivare la richiesta di rinvio a giudizio.

Erano stati sequestarti complessivamente beni per quasi 37 milioni, adesso ne vengono restituiti 11,2. In particolare la tenuta vitivinicola siciliana di Feudo Maccari, le società Prioria e Mefa (fallite rispettivamente a dicembre e a luglio scorsi), il 21 per cento di Rivoire, che gestisce l’omonimo caffè storico in piazza della Signoria a Firenze e alcuni marchi.

Avvocati al contrattacco: "Amarezza e preoccupazione"

I legali difensori degli imputati che hanno subito i sequestri e che vedono ora parte delle proprietà restituite, scrivono una lettera aperta a proposito della decisione.E' firmata dagli avvocati Luca Fanfani, Niki Rappuoli, Mauro Messeri e Stefano Campanello.

La decisione del pubblico ministero di restituire gran parte dei beni sequestrati ai nostri clienti suscita in noi difensori soddisfazione, ma anche una reazione amara e preoccupata. La Procura di Arezzo, a distanza di 16 mesi, riconosce che anziché sequestrare beni per 25,5 milioni di euro basandosi sulla valutazione della Guardia di Finanza ne aveva bloccati per ben 36.785.000: oltre 11.200.000 euro di troppo, un eccesso pari a quasi il 45% dei valori che il giudice aveva autorizzato a vincolare. Si stenta letteralmente a credere ad un errore di queste dimensioni. E pensare che noi difensori, sin dall’esecuzione del sequestro (a novembre 2018), avevamo fatto presente che, tra le tante cose che non ci convincevano di un provvedimento tuttora sub iudice, per ben due volte annullato dalla Corte di Cassazione, c’era il fatto che erano stati sequestrati beni il cui valore eccedeva di molto quello consentito. Taluni di noi avevano provato a chiedere la restituzione di un terreno agricolo, necessaria per le esigenze dell’impresa. Ci hanno sempre risposto di no, dicendo che il valore dei beni sequestrati a malapena raggiungeva il limite del sequestro: oggi la Procura mette nero su bianco che avevamo ragione noi, e non di poco. La tardiva restituzione dei beni sequestrati in eccesso non elimina i considerevoli danni che ne sono derivati: ben due società, sequestrate e oggi restituite perché non avrebbero mai dovuto essere sequestrate, sono nel frattempo fallite, le economie delle imprese e delle persone coinvolte, com’è ovvio, hanno risentito di gravi e ingiustificati pregiudizi. Tutto questo pone seri problemi; per giunta da molti mesi non chiediamo altro di difenderci: vogliamo un processo, e lo vorremmo il più presto possibile, per spiegare quanto sia ingiusta l’accusa di autoriciclaggio. Ma le indagini, la cui chiusura a più riprese è stata data per prossima, sembrano non avere mai fine.

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