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Cronaca

"Ho perso mio zio per colpa del Coronavirus". La testimonianza di Bacis: "Emergenza senza precedenti"

L'ex giocatore e allenatore amaranto, originario di Bergamo, racconta cosa sta accadendo nella sua città di origine. "Gli aretini non hanno ancora compreso cosa significa"

"Ho letto e ascoltato cose tra le più disparate sul Coronavirus, la realtà è un'altra e certi giornalisti non hanno capito di cosa si tratta". Michele Bacis parla con la cognizione di causa di chi ha purtroppo visto il Coronavirus colpire la propria famiglia. Ex giocatore e allenatore del Cavallino, originario di Bergamo ma residente ormai da alcuni anni ad Arezzo, Michele Bacis ha perso uno zio a causa del Covid-19 che ha anche colpito parenti e amici.

"Su quei camion dell'esercito che portavano le bare di chi è morto a Bergamo fuori città, verso i forni crematori, c'era anche mio zio - racconta l'ex difensore di Triestina, Fiorentina e Genoa - aveva 68 anni. Un'ambulanza è venuta a prenderlo a casa e non è più tornato. Mia zia ha ricevuto una telefonata nella quale le hanno comunicato il decesso e che non avrebbe potuto vederlo. I vestiti che indossava sono stati bruciati. Le bare ormai riempiono le chiese e chissà quanti altri locali prima del trasferimento ai forni crematori".

Il Coronavirus si fa largo e colpisce senza alcuna distinzione.

"Mio zio sicuramente ha accusato anche le difficoltà respiratorie di cui soffriva, era un fumatore, ma  mio cugino no - prosegue Bacis - ha 48 anni, non fuma, eppure il virus lo ha delibitato come non mai. Lunedì aveva lavorato regolarmente, indossava anche la mascherina ma non era di quelle chirurgiche. Quelle servono in ospedale e non è facile trovarle. Il martedì non riusciva nemmeno ad alzarsi da letto. Ha avuto la febbre alta per tre giorni. Adesso è passata, ma non mangia e fa fatica anche a parlare".

Le difficoltà aumentano e gli ospedali sono ormai saturi, come raccontano amici e parenti, tra cui il padre che ha accusato febbre alta, ma che non ha potuto sottoporsi al tampone.

"E' un'epidemia che ha colpito in maniera violenta, diffondendosi velocemente e riempiendo gli ospedali fino al limite - aggiunge Bacis - amici mi raccontano che non c'è la certezza di trovare posto se uno si ammala. C'è il rischio di morire a casa, nonostante le strutture presenti in città che, oltre ad essere enormi e moderne, vi garantisco che sono all'avanguardia. Anche mio padre si è ammalato ma non sappiamo se era Coronavirus. Ha 76 anni e non gli è stato fatto il tampone. Ha perso 7 kg e quando mangia non sente più il sapore del cibo, nemmeno gli odori. Mangiare una fragola o un pezzo di pane per lui è la stessa cosa adesso".

Una situazione, quella che vive la città di Bergamo, definita tragica dall'ex amaranto.

"Le mie zie hanno vissuto la seconda guerra mondiale e adesso piangono nel vedere cosa sta accadendo. Certo abbiamo tutti i frigoriferi pieni e altre comodità. Però non si può e non di deve uscire, per le strade c'è l'esercito e passano solo le ambulanze. Poi la notte i camion portano via le bare. Questo è quello che mi raccontano i parenti".

Ma oltre alla testimonianza c'è anche l'appello di Michele Bacis.

"Spero che la gente capisca quanto sia importante stare a casa, rispettare le norme. In una famiglia possono esserci ragazzi o adulti 'asintomatici' che potrebbero però contagiare i propri nonni o genitori.  La cosa che mi ha dato più fastidio è stata quella di sentir parlare certi giornalisti che hanno descritto scenari irreali. Il problema è che in Italia siamo 60 milioni di allenatori e oggi di medici. Chi non ha vissuto sulla propria pelle certe cose non si potrà mai rendere conto. Dobbiamo stare a casa, è l'unica soluzione".

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