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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca Castiglion Fibocchi

Arresti a Castiglion Fibocchi: "Ad Arezzo lo scambio tra oro e soldi". Così la Guardia di Finanza ha scoperto il meccanismo

Attraverso controlli sul territorio, svolti su indicazione dei colleghi bolognesi, i finanzieri aretini sono riusciti a intercettare vari scambi tra le parti e a portare alla luce parte del meccanismo.

Due anni nel mirino degli inquirenti che ne hanno seguito i passi e i movimenti. Due anni di indagini, condotte dalla Guardia di Finanza di Bologna, hanno portato all'arresto di 10 persone. Quattro sono aretini: si tratta dei titolari della ditta Castoro Srl di Castiglion Fibocchi, i fratelli Rita e Simone Jacopi di 62 e 47 anni,  il figlio di Rita, Giacomo Baldini di 37 anni e Alessio Frasconi di 46. Tutti e quattro si trovano in carcere, la donna a Sollicciano e gli altri tre presso la casa circondariale di Arezzo. Secondo gli inquirenti costituivano un anello strategico di un complesso meccanismo con il quale soldi di dubbia provenienza venita "trasformato" in metallo prezioso (anche questo considerato dagli inquirenti di provenienza illecita). Proprio per questo i finanzieri avevano denominato l'operazione "Pietra Filosofale".

Alle indagini hanno partecipato attivamente anche gli uomini della Guardia di Finanza di Arezzo: circa dieci militari sono stati impegnati nelle verifiche che avrebbero permesso di accertare lo scambio di denaro e metallo organizzati dal 50enne turco. Attraverso controlli sul territorio, svolti su indicazione dei colleghi bolognesi, i finanzieri aretini avrebbero intercettato vari scambi tra le parti e a portato alla luce parte del meccanismo, considerato dagli inquirenti ormai un classico per ripulire soldi e metallo. 

Intercettazioni telefoniche e applicazioni gps nelle auto degli aretini hanno poi permesso di ricostruire le vicende, mettendo in luce anche alcuni casi in due degli aretini abbiano fatto lo scambio. 

La ricostruzione della Guardia di Finanza

Stando alle ricostruzioni degli inquirenti, infatti, il turco raggiungeva la Toscana per raccogliere denaro contante da imprenditori cinesi del Pratese. Soldi considerati frutto di evasione fiscale che venivano utilizzati per l’acquisto dell'oro, dagli imprenditori aretini.

Il metallo prezioso sarebbe stato raccolto da alcuni compro oro della Toscana e dell'Abruzzo. Monili e gioielli di dubbia provenienza venivano acquistati a nero e trasformati in barre da cinque chili senza punzonatura e senza titolo (ovvero senza che venisse indicata la purezza del metallo). Tali lingotti venivano poi nascosti nei bagagli da stiva del 50enne o di alcuni suoi complici ed esportato in Turchia o altri paesi esteri (tra cui la Spagna e la Grecia) dove veniva immesso nei mercati ufficiali del settore.  Durante alcuni controlli sono stati trovati bagagli contenenti fino a 30 chili di oro puro.

Ma come faceva il 50enne a trasformarlo in metallo ufficiale? Grazie ad una serie di fatture fittizie emesse da un'azienda del quale era titotale situata in Romania nei confronti di un'altra azienda, che faceva sempre campo all'imprenditore turco, con sede a Instanbul. 

Il ricavato, confluito sui conti correnti delle società turche riconducibili all’indagato, veniva quindi trasferito ad imprese rumene collegate allo stesso, per poi essere spostato su conti di società di comodo del Regno Unito costituite dagli stessi imprenditori cinesi che ne avevano originato la provvista.

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