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Green Corner

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A cura di Alfredo Strazzullo

L'albero che rompe

Le radici degli alberi delle città, dissestando l’asfalto, le pavimentazioni e la rete fognaria, producono spesso danni ingenti. Dinnanzi a questi casi come dobbiamo comportarci? Dobbiamo tagliare l’albero? Dobbiamo tagliare le radici? O forse è meglio ripristinare il danno nella consapevolezza che dopo alcuni anni si presenterà nuovamente.

Bisogna innanzi tutto fare chiarezza e avere buona conoscenza degli apparati radicali e su come funzionano. L’apparato radicale di un albero, in condizioni ambientali normali, ha un volume sensibilmente inferiore a quello della chioma. Negli alberi adulti si presenta fascicolato (mai fittonante), distribuito omogeneamente a 360 gradi intorno al fusto, fino a profondità che raramente superano i 2,5 metri.

La sua funzione è triplice: quella di sorreggere la pianta, quella di assorbire acqua ed elementi minerali dal terreno, quella di conservare le riserve energetiche necessarie all’albero in caso di bisogno, ad esempio, dopo una potatura intensa della chioma. Un corretto funzionamento dell’apparato radicale presuppone che il terreno sia ricco di sostanza organica, di acqua e di aria.

Ebbene, nelle nostre città, soprattutto lungo le strade o nei marciapiedi, tali condizioni sono rare. Le foglie secche vengono asportate impedendo di arricchire il terreno di sostanza organica. Le pavimentazioni e l’asfalto riducono fortemente sia la penetrazione di acqua nel terreno che gli scambi gassosi fra atmosfera e terreno medesimo, rendendo quest’ultimo asfittico, ostile alla vita delle radici e dei microrganismi.

In simili circostanze di disagio – che sia dovuto a carenza di acqua, di ossigeno o di nutrimento -  gli alberi reagiscono, sviluppando ed orientando le radici in modo anomalo. Alcune specie arboree reagiscono più di altre a tali difficoltà. Altre specie - non molte - riescono invece ad adattarsi senza eccessiva perdita di vitalità.

Tra le specie più reattive e sensibili, vi è senza dubbio il pino domestico (Pinus pinea), la specie arborea che ad Arezzo delimita un lungo tratto di Viale Giotto. Il pino domestico è specie litoranea, che vegeta in natura su terreni sciolti ad elevata componente sabbiosa. Le sue radici sono dunque molto esigenti di aria. In circostanze di terreno “normale”, come ad esempio nei boschi della costa Tirrenica, il pino domestico non presenta radici superficiali. In caso di terreni compatti o impermeabilizzati dalla presenza di asfalto o cemento, come spesso accade nelle città, per ripristinare gli scambi gassosi fra aria e terreno il pino domestico sviluppa radici in superficie per rompere le barriere che impediscono tali scambi.

Stesso meccanismo si verifica anche in caso di carenza di acqua. L’apparato radicale si sviluppa principalmente verso le zone del terreno più umide, penetrando talvolta anche all’interno di tubazioni fognarie attraverso le giunzioni. Idem se l’albero è soggetto a forze meccaniche unidirezionali, ad esempio, esercitate dal vento in vicinanza di un edificio. In questo caso, per garantirsi stabilità, l’albero sviluppa maggiormente l’apparato radicale nella emisfero di terreno dove si trovano radici soggette a forze di tensione, piuttosto che nell’emisfero soggetto a forze di compressione.

Come risolvere tali problemi? Innanzi tutto con la pianificazione, mettendo a dimora nelle città specie che maggiormente si adattano a difficili condizioni ambientali, comprese quelle del suolo. Otterremo così meno danni da parte delle radici, alberi più sani e dunque più belli.

Quando l’albero è già presente, invece, il problema va risolto caso per caso: o si ripristina la struttura (pavimentazione) lesionata se le radici sono di piccolo calibro oppure, se e radici si presentassero di grosso spessore, si procede a tagliare l’intera pianta, magari mettendone a dimora in sostituzione un’altra di specie più idonea.

Il taglio di una grossa radice, soprattutto se vicina al fusto, è un’azione da non compiere se non alla presenza di un arboricoltore esperto, in grado di valutare il permanere delle condizioni di stabilità dell’albero e in grado di condurre i lavori in modo tale che la ferita prodotta dalla recisione non costituisca una facile via di ingresso a parassiti agenti di marciume, sempre presenti allo stato latente nel terreno, capaci di entrare dalle ferite e infettare in breve tempo tutto l’apparato radicale portando l’albero al disseccamento se non addirittura alla caduta inaspettata.

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L'albero che rompe

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