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Salute Monte San Savino

Dal San Donato all’Armenia, medico aretino in missione per combattere il Covid-19

"Mia figlia mi ha detto di andare e schiacciare il virus". David Redi, infettivologo del San donato, in missione per combattere il Covid-19

"Mia moglie ha capito quanto fosse importante questa missione, la mia figlia più grande mi ha detto di schiacciare il virus mentre mia madre invece è quasi svenuta". David Redi, classe 1987, venerdì mattina ha raggiunto Cuneo insieme ai suoi colleghi, compagni in questa avventura, che li vedrà combattere in prima linea il Coronavirus in Armenia, nella capitale Erevan, guidati dal dottor Mario Raviolo della maxiemergenza 118 Piemonte. Insieme al giovane medico, originario di Monte San Savino, è partito un team di medici e infermieri dell'EMT-2-ITA (Emergency Medical Teams) della Regione Piemonte, a cui si è aggiunta una dottoressa dalla Lombardia.

Laureato in medicina e chirurgia nel 2012 presso l'Università degli Studi di Siena e specializzato in malattie infettive presso quella di Firenze nel 2018, David dopo la specializzazione ha lavorato a Siena e da un anno è ad Arezzo nel reparto di malattie infettive.

Come è nata l'idea di partire?

"All'improvviso - racconta - ho ricevuto la chiamata del mio direttore, il dottor Tacconi Danilo, martedì scorso (23 giugno, ndr). La regione Toscana stava cercando un infettivologo da mandare in missione in Armenia dove stanno ancora affrontando l'emergenza Covid-19. L'idea della missione fa parte delle caratteristiche dell'infettivologo, come le missioni in Africa per la lotta all'Hiv. Mi sono voluto mettere in gioco e ho accettato l'offerta. Starò qui per tre settimane, il rientro è previsto per il 17 luglio".".

Come ha reagito la tua famiglia quando hai detto che saresti voluto partire?

"Prima di dare la conferma ufficiale ne ho parlato con Sara, mia moglie - spiega David - senza troppe esitazioni mi ha detto di andare, perché non potevo rinunciare ad un'occasione così importante. Il 14 luglio sarà il nostro settimo anniversario di matrimonio, questo è veramente il più bel regalo della vita. Mia figlia più grande di 3 anni e mezzo Francesca mi ha detto di tornare presto e di schiacciare il virus come si fa con le zanzare, Chiara di un anno e due mesi ha sorriso come al solito. Mia mamma è quasi svenuta, invece mio padre e mia sorella mi hanno fatto un bel in bocca al lupo".

Medico aretino in missione in Armenia

Come hai vissuto l'emergenza Covid in Italia, non solo in ambito lavorativo?

"Ringrazio il cielo che il Covid-19 non ci ha colpito come purtroppo è capitato in Lombardia e in Veneto, dove hanno dovuto fronteggiare una emergenza con la e maiuscola. Da fine febbraio il telefono del reparto non finiva di squillare giorno e notte. Qualsiasi paziente con la febbre ti veniva filtrato dal 118. Abbiamo passato notti insonni, poi a tempo record l'ospedale si è riorganizzato, sono arrivati tanti giovani medici e infermieri e abbiamo creato un team meraviglioso. L'ospedale è diventato durante i mesi di lockdown un posto sicuro. Finito il turno volevi ancora rimanere perchè c'era da fare, c'era da aiutare e poi avevi sempre qualcuno con cui confidare i tuoi dubbi e le tue insicurezze. E poi correvo a casa dalle mie donne per coccollarle e rassicurale che tutto andava bene. Di solito ero io ad andare a fare la spesa sempre con le massime protezioni e con il dovuto distanziamento, vedere le persone in gruppo mi angosciava e lo fa tutt'ora. Con la famiglia abbiamo vissuto la casa molto più di prima, la forza più grande per andare avanti sono state le mie figlie, le ho potute vedere crescere insieme in questi mesi, questa è l'emozione più grande che mi porto con me".

Eri teso prima della partenza per l'Armenia?

"Fino alla partenza ero molto agitato, anche perché questa è la prima volta che faccio una missione e soprattutto non conoscevo nessuno dei componenti del gruppo. Sono stati molto cordiali, questo ha allentato molte mie tensioni".

Hai paura o sei preoccupato per il Covid-19?

"Fa paura la malattia in sè perché è un nemico nuovo, subdolo e molto aggressivo. Al momento le armi per combatterlo sono poche e non esiste una cura definiva. D'altronde aver lavorato per tre mesi interi con pazienti affetti dalla malattie senza averla mai contratta (fino ad ora) mi fa capire che con le giuste misure di sicurezza possiamo evitare il dilagare della malattia, per questo ancora è fondamentale il distanziamento sociale, l'uso della mascherina e l'igiene delle mani. Il virus aspetta che solo uno abbassi la guardia per contagiare decine di persone".

Cosa vorresti al tuo ritorno?

"Vorrei tornare e trovare un'Italia Covid-free, ma so che questo non è possibile perché ci vogliono almeno quattro settimane di assenza di nuovi contagi per questo risultato - confessa David - Intanto però voglio ringraziare tutte le persone che ce la stanno mettendo tutta per contenere i contagi, e non mi riferisco solo ai sanitari, ma anche a tutti i lavoratori, gli imprenditori, i genitori, gli educatori, i nonni e i bambini che hanno visto cambiare il loro modo di vita in maniera così brusca e repentina. Tutto questo è servito e servirà ancora. Noi siamo in gara contro questo terribile avversario, dobbiamo resistere ancora un po', ancora quei cinque secondi per citare con tanta commozione Alex Zanardi, e vedremo che quel avversario cederà".

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