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Sergio Marchionne: addio Fiat

Il mondo dell'auto è fatto di passione, la logica non basta e non premia, almeno non sempre. Le automobili sono fra i beni di consumo che, al pari delle moto, suscitano le nostre più profonde e viscerali passioni, appunto. L'auto non è una...

Il mondo dell'auto è fatto di passione, la logica non basta e non premia, almeno non sempre.

Le automobili sono fra i beni di consumo che, al pari delle moto, suscitano le nostre più profonde e viscerali passioni, appunto.

L'auto non è una scatola su quattro ruote. Non è un semplice mezzo di trasporto. L'auto è ricerca dello stile, tecnica, sviluppo, performance. Passione, appunto.

Arezzo Notizie Motori lo sa. Guidare ci piace, Tanto. Le belle auto e le belle moto ci emozionano ancora.

Sergio Marchionne al di la di tutto ha saputo trasformare la Fiat e con essa Alfa Romeo e Lancia, da case automobilistiche "di provincia", in una realtà produttiva multinazionale di respiro globale, portando il valore dell'azienda da tre a sessanta miliardi di euro in quattordici anni. Con il suo stile "informale" ha portato il "tu" al posto del "lei" dentro la Fiat, ha ridotto le gerarchie manageriali da nove a cinque, ha saputo creare una emozione nei consumatori che gli hanno dato fiducia, acquistando i prodotti del marchio Fiat, nel frattempo inglobata dentro FCA. Tutto questo e' stato possibile anche per passione. La fusione con l'industria automobilistica americana ha giovato a rivitalizzare e modernizzare i marchi italiani, compreso i brand del lusso rappresentati da Maserati e Ferrari. Alfa Romeo finalmente è tornata a rombare. Giulia e Stelvio hanno ridato lustro e immagine ha un marchio altrimenti glorificato solo dal passato. Lancia ha attinto a piene mani dal know how di Chrysler. Fiat ha reinterpretato in chiave moderna la vecchia Cinquecento, e non solo, spingendo le vendite laddove, qualche anno fa, non era neppure ipotizzabile sperare. Il marketing strategico ha fatto la sua parte. Marchionne ha saputo ridare orgoglio e dignita' all'industria automobilistica italiana. Solo questo basterebbe a farne di lui un vero capitano d'industria, apprezzato e temuto dalla concorrenza. Quel tricolore cucito sul bordo dei polsini dei suoi maglioncini neri ( e non blu) e' la testimonianza di un senso di appartenenza che si rischiava di perdere. Proprio il senso di appartenenza all'Italia, al gruppo FCA, a mio parere costituiscono l'eredità professionale più importante che Marchionne lascia ai dipendenti della casa del Lingotto. Nessuno sa cosa succederà dopo di lui. Si apre uno scenario nuovo. Così come sono finite la Prima e la Seconda Repubblica in Italia, allo stesso modo finisce l'epoca Marchionne. Chi gli succederà raccoglierà un testimone importante e non sarà facile fare meglio. Staremo a vedere. L'importante è che i vertici di FCA non facciano l'errore di mettere a capo del gruppo un manager asettico, tutto numeri e strategie. Ci vorrebbe un manager con cuore e passione per l'auto, che si emozioni ancora di fronte ad una bella linea di carrozzeria, che sappia godere della fiducia degli operai, dei quadri e dei manager del gruppo al di la del fatto che parlino italiano, inglese, spagnolo. Ci vorrebbe l'interesse a fare stare bene i propri collaboratori, perché un ambiente di lavoro migliore, si sa, influisce in meglio sulle prestazioni lavorative. Ci vorrebbe una persona che venisse dal basso, che conoscesse il prodotto, che si fosse formata e affermata nel settore per le sue capacità. Ci vorrebbe un altro, Marchionne.

Mi congedo rivolgendo un pensiero alla sua famiglia in queste ore di angoscia.
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