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"Se l'è andata a cercare". Quella frasetta odiosa nei casi di stupro e la nostra responsabilità

C'è un uomo in giacca e cravatta, evidentemente sotto choc. E' seduto. Davanti a lui c'è una agente. Siamo in una stazione di polizia. L'uomo inizia a raccontare quel che gli è appena accaduto: è stato rapinato. Uno sconosciuto gli ha puntato un...

C'è un uomo in giacca e cravatta, evidentemente sotto choc. E' seduto. Davanti a lui c'è una agente. Siamo in una stazione di polizia. L'uomo inizia a raccontare quel che gli è appena accaduto: è stato rapinato. Uno sconosciuto gli ha puntato un coltello alla gola e gli ha portato via gli averi: cellulare, portafogli.

"Indossava gli abiti che porta adesso?", le chiede a bruciapelo la poliziotta. "Sì, mah...", il rapinato resta interdetto. "E' vestito provocatoriamente benestante", ribatte l'agente poco conciliante. "Ma ha urlato?", lo incalza. "No, avevo un coltello alla gola!", la vittima è esasperata. "Eh, mi scusi, ma se non ha gridato magari il rapinatore ha pensato che le facesse piacere consegnargli i suoi averi", conclude la poliziotta. E così via.

Il video è paradossale, è stato pubblicato lo scorso anno e cerca di combattere il più odioso tra i commenti che accompagnano le vittime di uno stupro: "Se l'è andata a cercare". Torna buono ogni volta che, purtroppo, un episodio del genere torna a funestare le cronache. Perché al cretino basta un pretesto per sussurrare quella frasetta odiosa portando a supporto degli argomenti "di ferro" come la gonna troppa corta della vittima. E giustificare il carnefice, che "ne ha approfittato, ma insomma".

Sul caso della Valdichiana, lasciamo lavorare chi indaga. Se violenza sessuale c'è stata, chi l'ha cagionata, paghi duramente. E si eviti un chiacchiericcio inutile sulle circostanze. A volte rischiano di creare un clima ostile a chi denuncia, alimentano l'omertà (soprattutto nei casi di violenza in famiglia) e scoraggiano le future vittime a rivolgersi alle forze dell'ordine. Non permettiamolo.

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