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San Polo e San Severo 79 anni dopo. Le storie di Eugenio, Silvestro e degli altri 63 aretini massacrati

Il 14 luglio 1944 nelle colline di Arezzo vennero commesse due tra le più cruente e feroci stragi del periodo bellico. Civili e partigiani vennero catturati, torturati e infine uccisi barbaramente dalle truppe naziste in ritirata

"Diventarono quarantotto ed ebbero nerbate. Furono coperti in tre fosse, sepolti vivi a strati misti a cariche esplosive. I cadaveri furono scoperti da un gruppo della Sackforce. L’eccidio commosse il mondo anglofono”. Così la procura del tribunale militare di La Spezia scrive a proposito delle vittime di San Polo, l'eccidio commesso delle truppe naziste in ritirata dall'Aretino. Una pagina di storia straziante scritta il 14 luglio 1944: due giorni prima della liberazione della città. 

Eugenio Calò: torturato e poi ucciso

Tra le vittime dell'eccidio c'è anche Eugenio Calò, partigiano e medaglia d'oro al valor militare alla memoria. Nato a Pisa nel 1906 da un'antica famiglia di ebrei italiani si era trasferito poco più che ragazzo ad Arezzo dove aprì un'officina per macchine agricole. Si sposò con Carolina Lombroso, anche lei ebrea, con la quale ebbe i figli Elena, Renzo ed Alberto. All'indomani della promulgazione delle leggi razziali cercò rifugio con la famiglia a Vicchio nel Mugello. Un tentativo risultato vano poiché la moglie e i bambini vennero catturati. Eugenio riuscì a scappare mentre i suoi cari vennero prima portati a Firenze nel carcere delle Murate e poi a Mauthausen. All'arrivo al campo di concentramento, il 23 maggio 1944, Carolina e i quattro figli, il più piccolo nato nei vagoni piombati durante il tragitto, vennero immediatamente avviati alle camere a gas. Calò fu il principale organizzatore di uno dei battaglioni della Brigata "Pio Borri" facendo la staffetta dall'Umbria alla Toscana. Erano i primi giorni di luglio quando, su direttiva delle truppe alleate, tornò ad Arezzo per comunicare alcune direttive alla "Pio Borri". Esausto riuscì appena a arrivare a destinazione e insieme ad altri 29 fra partigiani e civili venne catturato durante l'ennesimo rastrellamento. Il 14 luglio 1944 i tedeschi portarono i prigionieri a villa Gigliosi a San Polo. Qui vennero percossi fino allo sfinimento, gettati in delle fosse ancora vivi e sepolti insieme a delle cariche esplosive, fatte brillare poco dopo.

«Rispose pronto al grido della Patria; sapendo moglie e figli catturati, antepose all'amore per la famiglia la fede profonda negli ideali, supremi valori di libertà e di giustizia. Organizzatore ed animatore instancabile, pur menomato nel fisico, dette tutto sé stesso al consolidamento dei reparti partigiani, affrontando intrepido disagi gravissimi e rischi continui. Combattente, vice comandante di divisione partigiana affermava doti altissime di coraggio e di sprezzo del pericolo che specialmente brillarono nell'attraversare le linee germaniche con un follo gruppo di prigionieri che stavano per essere liberati, e consegnarli alle avanzanti truppe alleate. Catturato durante un attacco di sorpresa, interrogato e seviziato ferocemente conservò il più assoluto silenzio. Il nemico furente ne sotterrò il corpo ancora vivo. Esempio fulgido di dedizione totale alla grandezza d'Italia». (Arezzo, ottobre 1943 - 14 luglio 1944).

Eugenio Calò

San Polo: il resoconto di Taddeo

Quello che accadde 48 ore prima della Liberazione di Arezzo nelle colline a nord della città è stato raccontato da Orlando Taddeo generale di corpo d'armata comandante generale, nel rapporto inviato il 17 agosto 1944 al Governo e alle autorità militari e contenuto nel fascicolo: "Eccidi e distruzioni perpetrati dalle truppe tedesche nella provincia di Arezzo" oggi custodito, così come le foto di quei tragici giorni, nell’archivio della Provincia di Arezzo.

Un gruppo di soldati tedeschi da San Polo si spinsero nella vicina località Pietramala e al Molin dei Falchi per eseguire un attacco contro i partigiani. L'attacco venne eseguito alle sei antimeridiane. Gli attaccanti penetrarono nella casa del Molin dei Falchi e, liberati alcuni tedeschi che vi si trovavano prigionieri, davano fuoco alla paglia in prossimità della porta. II maresciallo tedesco Hans Plumer, già prigioniero, fu udito rispondere alle proteste dei civili, sfollati da Arezzo che indiscriminatamente venivano arrestati, senza riguardo a sesso ed età, con le seguenti testuali parole: "non sfollati, tutti partigiani, tutti morti" e questo nonostante egli fosse a conoscenza della situazione dei civili catturati. Strada facendo i tedeschi uccidevano una donna in istato interessante che colpirono deliberatamente anche al ventre la madre di questa e un bimbo che si erano fermati un istante per riprendere fiato. E un po’ più in su altri due vecchi che anch'essi non potevano camminare.  Oltre alle vittime già descritte si lamentano sette feriti, di cui un bambino in fasce, uno di due anni, uno di circa sette ed un vecchio, tutti appartenenti ad una stessa famiglia di coloni. Ebbero la stessa sorte una ragazza antecedentemente seviziata, una donna anziana ed un altro vecchio. Dal Molin dei Falchi per Pietramala per Vezzano, per Maestà di Vezzano, per Castellaccio, arrivarono a San Polo e per la discesa di Castellana per l'Angelo custode, per la Fonte e per le case.  Gli arrestati, che andavano crescendo di numero, divisi in gruppi distinti arrivarono alla villa Mancini. Alcuni di essi furono presi proprio a pochi metri dalla villa Mancini. I prigionieri, quasi tutti civili sfollati, furono rinchiusi nella cantina di Mancini Alfredo, posta a pian terreno e nel garage di Mancini Guido. Fra i prigionieri vi erano quattro donne con tre bambini uno dei quali paralizzato. Una era una certa Biondini Palma di Puglia (conosciuta come figlia di Patrizio) che teneva un figlio paralizzato in collo; una certa Vitellozzi che aveva con sé due bambini, uno di dieci anni ed uno di sette circa. Nel salire dal Molino dei Falchi al Castellaccio e nello scendere di qui a San Polo erano spinti a colpi di calcio di moschetto e a scudisciate. Nella villa Mancini, sia nella cantina, come nel garage, furono flagellati a più riprese con pezzi di tubo di caucciù, con scudisci e con calci di moschetto nelle gambe, nella schiena e nella testa. I loro lamenti e le grida furono uditi a diverse riprese con esclamazioni: "Oh Dio! Oh Dio! Basta, basta" e furono visti grondanti sangue dalle gambe, dal dorso e perfino alla testa. Diversi ebbero gli abiti ridotti a brandelli. La sera del 14 luglio alle 17,30 una prima squadra di questi prigionieri uscì dalla Villa Mancini attraverso i campi, raggiunse la villa Gigliosi. Dopo mezz'ora un’altra squadra percorse lo stesso itinerario. Finalmente, verso le 18,30, un ultimo gruppo fece la stessa strada. Tutti i prigionieri tenevano le mani incrociate dietro la testa, camminavano a stento ed uno era completamente nudo. Le squadre erano accompagnate da circa 15 soldati ognuno armato di moschetto, di rivoltelle e piccole mazze. I soldati avevano al braccio tre righi neri, su fondo verde in piano ed alcuni tre V capovolti neri su fondo verde.  Circa le ore 19 furono uditi degli spari e detonazioni, poi silenzio assoluto. Al mattino del 15 luglio un ufficiale del comando tedesco venne a comunicare all'arciprete di San Polo che "quarantasette uomini erano stati fucilati ad ordinanza del Colonnello, costretto da necessità, perché banditi avevano tirato a soldati tedeschi passanti per le strade a piedi o con automezzi e perché avevano tenuto come prigionieri 16, per lo meno, soldati tedeschi che erano stati liberati dagli altri camerati. Questi banditi erano tutti confessi". L'arciprete domandò le salme per poter dar loro sepoltura; gli fu risposto: "È gente morta senza onore e quindi arrivati gli inglesi li seppellirete se li troverete; per ora no". Alla sera del 15 luglio quattro donne rimaste a Villa Mancini con tre bambini furono fatte salire su di un camion il quale partì con gli altri soldati della villa, una parte dei quali aveva la camicia nera e appartenevano alla SS. Nella Villa Macini dopo la partenza dei tedeschi furono trovati i seguenti indirizzi: Obgf Helmut Rotkenstain = Feldpost n.29241. Davanti alla busta si trovava scritto: Frau Irmgard Salinga.5 b Rapatten ù. Ostarode (Ostpr). Mittente: Arb Abger Gerhard Salinga Feldpost n.29241. Interno della busta in un biglietto vi era il seguente indirizzo: Rudolf Kohlen F.P.N. 29241 Fascette per stampa con l’indirizzo: Ecalesisch Laudespest Neisse Feldpost Soldat Paul Rieger, Feldpoat n.26598 A. A seguito di ciò avendo la voce pubblica additato come luogo dell'esecuzione la Villa Gigliosi in San Polo, il reverendo arciprete don Angelo Lazzeri, la sera del 17 luglio, non appena occupato il paese dagli inglesi, ordinava il disseppellimento delle vittime che venivano traslate per la maggior parte nel camposanto di San Polo.

I martiri di San Polo

In tutto furono 48 i cadaveri rinvenuti a Villa Gigliosi. La morte di quegli uomini, donne e bambini, sarebbe avvenuta secondo il parere dei medici legali dell'epoca "per alcuni per arma da fuoco e per altri per soffocamento ed esplosione di gelatina". Di seguito riportiamo i loro nomi. Federico Albiani, 56 anni; Pietro Badii, 75 anni; Severino Badii, 27 anni; Luigi Benvenuti, 38 anni; Vittorio Bianchini, 60 anni; Getulio Bindi, 46 anni; Oscar Bindi, 41 anni; Silvano Bindi, 21 anni; Adelmo Biondini, 42 anni; Antonio Bruni, 19 anni; Carlo Bruno, 21 anni; Giuseppe Bruschi, 40 anni; Ugo Buzzini, 18 anni; Eugenio Calò, 38 anni; Antonio Cardeti, 23 anni; Ottorino Castellani, 21 anni; Donato Catalani, 31 anni; Laura Cerofolini, 21 anni; Conforta Chiodini, 37 anni; Matteo Chiodini, 60 anni; Severino Chiodini, 35 anni; Umberto Damiante; Giosuè Detti, 38 anni; Alfio Franceschi, 18 anni; Michele Frescucci, 64 o 65 anni; Luigi Gastaldelli, 21 anni; Quinto Genalti, 19 anni; Luigi Giannini, 18 anni; Rodolfo Giannini, 44 anni; Vasco Lisi, 33 anni; Filippo Mangano, 30 anni; Giuseppe Mattesini, 22 anni; Gino Mattioli, 21 anni; Oreste Menzetti (O Renzetti?), 59 anni; Giuseppe Montai, 44 anni; Paolo Pacini, 37 anni; Attilio Pannoli, 22 anni; Alberto Pea, 19 anni; Alfonso Picinotti, 57 anni; Lorenzo Picinotti, 21 anni; Giancarlo Praderio, 19 anni; Luigi Recine, 17 anni; Angelo Ricapito, 20 anni; Silvano Righi, 21 anni; Remigio Romani, 38 anni; Mario Sbrilli, 22 anni; Antonio Siino, 22 anni; Ivano Tanelli, 20 anni; Donato Tavanti, 43 anni; Francesco Tomei; Angelo Vitellozzi, 76 anni; Pietro Vitellozzi, 41 anni.

La notte di San Severo

Sempre nello stesso giorni in un cui a San Polo vennero massacrate decine di persone, qualche chilometro più a est, a San Severo vennero perpetuate altrettante barbarie e atrocità nei confronti della popolazione aretina. 16 in tutto le vittime che persero la vita sotto i colpi di pistola esplosi contro di loro dalle truppe naziste. "Il mattino del 14 luglio 1944 - si legge in uno dei tanti resoconti dell'epoca - un gruppo di soldati tedeschi eseguì un rastrellamento dove vennero arrestate 19 persone, accusate di far parte o essere vicine a bande partigiane. Tre vennero rilasciate, le altre vennero fucilate nel bosco e alcuni prima furono torturati. A memoria della tragedia il popolo di San Severo e Pomaio oltre all'associazione Combattenti di Staggiano posero 26 ottobre 1952 un monumento che ricorda le persone". Tra le vittime c'è Silvestro Lanzi. 48 anni, marito e padre devoto di otto figli. Venne trucidato dai nazisti insieme ad altre persone di cui il più vecchio aveva 67 anni e il più giovane 17. Un dramma indimenticato che Luca e Sauro Lanzi, nipoti di Silvestro nonché componenti della band Casa del Vento, hanno reso immortale nella canzone "Notte di San Severo".

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Le vittime di San Severo sono: Delfino Baldini, 22 anni; Dino Bichi, 17 anni; Neo Bistoni, 36 anni; Balilla Bulangeri, 54 anni; Santi Domini, 35 anni; Giovanni Fabbrini, 67 anni; Ernesto Fragai, 31 anni; Radames Ghezzi, 21 anni; Silvestro Lanzi, 48 anni; Attilio Livi, 20 anni; Gino Papaveri, 28 anni; Alfredo Sacchini, 42 anni; Antonio Scatragli, 35 anni; Angiolo Severi, 43 anni; Giuseppe Severi, 42 anni; Severo Severi, 33 anni.

L'omaggio di Luca e Sauro al nonno Silvestro e alle altre vittime della strage

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