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Fimer, l'affondo dei sindacati: "Proprietà continua a fuggire dalle responsabilità: non vuole salvare l'azienda"

Secondo Cgil, Cisl e Uil la crisi non è da "addebitare ai lavoratori", ma sarebbe legata al "comportamento dell'attuale cda e della proprietà"

"Non accettiamo una rappresentazione fuorviante e inesatta delle motivazioni e delle responsabilità sulla vertenza Fimer". Così si esprimono attraverso un comunicato stampa di Cgil, Cisl e Uil in merito alla complessa situazione nella quale si trova l'azienda di Terranuova Bracciolini che produce inverter per impianti fotovoltaici. La Fimer infatti è in bilico, appesa ad un filo attende (con i suoi 280 dipendenti) quella che sarà la decisione del tribunale di Milano sulla dichiarazione di insolvenza e all'amministrazione straordinaria.

I tempi però stringono e la tensione si fa sentire ogni giorno di più. "Non sono i lavoratori che stanno compromettendo il futuro dell’azienda - dicono i sindacati, che chiariscono alcuni recenti retroscena della vicenda -. È prova di ciò non solo il provvedimento del tribunale da cui emerge chiaramente la drammatica situazione economico finanziaria dell’azienda ma anche la stessa presentazione di una nuova richiesta di concordato basata esclusivamente su “ennesime” manifestazioni di interesse e non su accordi certi che prevedano immissione di capitali nell’immediato, finendo per ripresentare una proposta vuota e superficiale atta solo ad acquistare ulteriore tempo. Un esempio: alcuni soggetti che risultano da nuovo concordato Fimer aver manifestato interesse, da noi contattati hanno smentito categoricamente qualsiasi recente interlocuzione con la proprietà e cda. Mentre relativamente a Clementy, che pare oggi nuovamente interessata, ci atteniamo al loro ultimo comunicato ufficiale di aprile in cui citiamo testualmente dichiaravano di risolvere il contratto di investimento a causa delle varie inadempienze degli azionisti di Fimer".
Poi un'analisi di quello che sta accadendo all'interno dell'azienda con la quale le sigle sindacali mettono in evidenza come non ci siano più molti margini di tempo per salvare l'azienda: "L’attuale situazione è facilmente rappresentabile. Le aziende che operano nella logistica, sullo stoccaggio della materia prima, sono ferme e non garantirebbero l’approvvigionamento dei componenti per le linee produttive perché già da tempo lamentano mancati pagamenti. L’attuale autonomia è riconducibile a 2/3 giorni di lavoro per solo alcune linee di prodotto. I fornitori in assenza di pagamenti non garantirebbero nuove forniture. Le ditte in appalto (mensa, pulizie, servizi, service) sono nelle stesse condizioni. In questi giorni stanno scadendo importanti licenze per la gestione, soprattutto per l’assistenza ai clienti e non sappiamo se ci sono le risorse economiche per provvedere ai rinnovi.
Se questa è la realtà non appare a tutti chiaro che tempo a disposizione non ne abbiamo? E che se la famiglia avesse voluto realmente fare l’interesse dei lavoratori poteva semplicemente confermare
accordo con Greybull?"

Poi la questione della disponibilità di cassa: "Ancora: attualmente quello che ci risulta essere la disponibilità di cassa è sufficiente (forse) solo a coprire il pagamento degli stipendi, tenendo conto che vi sono pendenti cause che potrebbero impedirne lo smobilizzo per questo fine. Quella stessa cassa che, è stata e continua ad essere ridotta nel tempo, sempre a discapito di quanto sopra detto, tanto a causa di consistenti pagamenti per consulenze aziendali a vario titolo o professionalità e incarichi che non portano valore aggiunto all’interesse aziendale; nonché – durante il periodo di prededuzione – da un forte sbilanciamento costi ricavi tra i due stabilimenti anche rispetto all’utilizzo dell’ammortizzatore sociale. E questo lo diciamo non per mettere in competizione i lavoratori di due territori diversi ma solo per evidenziare nuovamente: questo utilizzo improprio delle risorse da parte della proprietà, ci chiediamo è nell’ottica dell’interesse societario o per preservare l’interesse personale? L’azienda è tecnicamente ferma dal 31 di marzo e questo ben verificabile da quanto definito dal giudice di Arezzo nella convocazione dell’udienza del 3 maggio. Appare quindi evidente come, l’esclusiva responsabilità di tutto quanto accaduto, è riconducibile a due soli soggetti: attuale Cda e azionisti che non hanno permesso l’immissione di capitali necessari a non far spegnere gli impianti produttivi. Quindi chi vuole l’azienda fallita? Continuare a richiedere tempo e concordati solo per sfuggire alle proprie responsabilità evidenzia in modo chiaro chi è che non vuole la salvezza di questa realtà produttiva."

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