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"Siamo un paese di vecchi che non ha imparato a rispettare i vecchi"

Riflessione ad alta voce dell'associazione Centro Franco Basaglia di Arezzo

"Nella grande paura e insicurezza diffusa , scatenata dal Covid 19 ci sono storie che vanno raccontate, conosciute, ripensate più di altre. Ogni morte è una tragedia e non si può pensare che ci siano situazioni più importanti di altre a seconda della carta di identità di chi muore. Quello che è successo nelle Rra o altre strutture socio sanitarie,  sta assumendo dimensioni spaventose. I contagi sono stati tantissimi, in alcuni reparti il cento per cento  e impressionanti le percentuali di decessi.

Le storie che filtrano raccontano di persone costrette a morire senza nemmeno la vicinanza dei propri cari, disorientate e spaventate in un luogo trasformato in un ambiente ancora più alienante di quello che una struttura normalmente può essere. Operatori costretti a lavorare, soprattutto nel primo periodo, praticamente a mani nude contro un  mostro al tempo invisibile e terribile. Sempre più stanchi e soli…

Le famiglie spesso impossibilitate anche solo ad avere notizie certe, aspettando quello che giorno dopo giorno è diventato un bollettino di guerra, sperando che nell’elenco non ci sia il proprio caro. Un silenzio assordante, quello di chi non aveva nemmeno voce per chiedere aiuto.

Ed ora? Iniziata la  caccia ai colpevoli e la polemica politica, si proverà dare qualche spiegazione, cercare errori nel sistema, ipotizzare nuove strategie. Non basterà. Occorre riconoscere che abbiamo sbagliato tutti.

Siamo un paese di vecchi che non ha imparato a rispettare i vecchi. Occorre allora assumersi l’impegno di costruire politiche decenti per le persone anziane. Lo dobbiamo fare ricordando che la generazione anziana spazzata via in questa tragedia era rappresentata da coloro che avevano combattuto per la libertà e la democrazia, che hanno costruito lo sviluppo del nostro Paese, che ci hanno cresciuti che hanno fatto sacrifici per il nostro benessere che in tanti hanno vissuto in solitudine gli ultimi anni della loro vita e che avevano costruito lo sviluppo del nostro Paese. In tanti hanno vissuto in solitudine gli ultimi anni della loro vita. Le riflessioni vanno fatte sia sulle strutture private che su quelle pubbliche.

Lo dobbiamo fare senza se e senza ma ricordando che la generazione anziana spazzata via in questa tragedia erano coloro che avevano combattuto per la libertà e la democrazia,

 Errori giganteschi sono stati fatti. Dimenticandosi che occorre un Welfare di comunità che metta al centro la persona “per dare anni alla vita e vita agli anni” che promuova l’invecchiamento attivo che metta in campo politiche integrate per prevenire, rallentare, prendere in carico la non autosufficienza con risposte di qualità in piccole strutture dal volto umano perché piccolo è bello. Cosa è  stato invece fatto?

 In tutta Italia e anche in Toscana sono proliferati grossi carrozzoni di 200-100-80 posti letto e così via per le persone fragili (pensiamo anche ai disabili: stessa sorte) dove mettere persone ormai considerate “marginali”, magari mascherate ipocritamente da “moduli diversi”che sono luoghi emarginanti e segreganti perché non inseriti in un concetto ristretto di comunità.

E' necessario  quindi ripartire da questa tragedia per aprire tavoli di lavoro, di confronto, di discussione capace di generare politiche in grado di dare risposte serie non alle domande ma ai bisogni delle persone ed in particolar modo di quelle più fragili. Bisogna ridiscutere di sanità pubblica come bene irrinunciabile che non può esser continuamente sottoposto a tagli o alla costruzione di sistemi sempre più complessi e lontani dalle persone e dai territori, meno burocrazia e apparati e più servizi e operatori.

Bisogna capire come mai i luoghi più vulnerabili siano stati lascati per ultimi negli interventi di protezione e prevenzione che a determinato una strage anche tra gli operatori socio-sanitari oltre che tra le persone in carico ai diversi servizi. Bisogna ridiscutere del ruolo del terzo settore che ha giocato una partita straordinaria ma che spesso viene utilizzato in modo confuso o strumentale in sostituzione di quelle che devono essere risposte garantite dai servizi pubblici.

Bisogna discutere di come certi servizi non possono essere affidati in gestione con la logica del massimo ribasso abbassando la qualità delle prestazioni e obbligando gli operatori a condizioni di lavoro inadeguate e massacranti. Bisogna riprendere anche nella nostra regione dove cose positive si sono certamente fatte. Una riflessione seria e costruttiva a partire dalla Regione medesima,  che coinvolga la rete provinciale dei propri Comuni che devono tornare a pensare  a piccole strutture per la non autosufficienza e farsene carico, non dimenticando mai che sradicare un anziano dal proprio territorio significa espropriarlo delle sue radici, della sua storia.

Una storica battaglia del Centro Basaglia  fu quella di raccogliere più di 5.000 firme a sostegno di una proposta di Legge di iniziativa popolare “Residenzialità sociale senza emarginazione” presentata al  Consiglio Regionale nel settembre 2011 e bocciata dalla Giunta Regionale nel 2012 dove si sosteneva che la risposta ai crescenti bisogni della popolazione anziana non era certo costruire grandi strutture, ma anzi piccoli moduli dove più alta fosse la qualità delle relazioni di cura, dove le persone  rimanessero nei propri territori di appartenenza, senza produrre processi istituzionalizzanti e di alienazione. Fu fatto allora a nostro giudizio un errore imperdonabile accreditando nel tempo anche nella nostra realtà strutture per anziani e disabili con 100 posti e più posti  letto.

Un attento studio presentato al convegno realizzato sempre dal Centro Franco Basaglia e sostenuto con grande passione e capacità intellettive e tecniche da Bruno Benigni dal titolo”Residenzialità sociale senza emarginazione” tenutosi ad Arezzo nel giugno 2009, smontando la logica comune che le strutture piccole costano troppo ha dimostrato che integrare le piccole strutture ad interventi territoriali e forme di co-housing, rende il tutto assolutamente sostenibile economicamente.

Tornerà l’oblio, il silenzio, il disinteresse verso questa generazione silenziosa, verso una disabilità che stentiamo a ritenere una ricchezza per una comunità che deve con grande rispetto salvaguardarla? E’ possibile che ciò accada ma dobbiamo impedirlo. Come Centro Basaglia continueremo a combattere insieme alle molte energie intellettuali, morali, sociali, pubbliche e private che esistono, per contribuire a cancellare l’emarginazione, le iniquità che sussistono verso le persone fragili che non  trovano priorità e troppo spesso sono fuori dall’orizzonte culturale, progettuale delle politiche di Welfare.

Quello che dobbiamo fare è dare voce a quel silenzio angosciante e ricominciare a fare politica di comunità, tracciare le linee guida su cui vogliamo ricostruire un modello di benessere diffuso che il Covid-19 ha messo a dura prova ma che comunque ha resistito e noi abbiamo il dovere di partire dagli errori fatti per costruirne insieme , tutte le componenti sociali, uno ancora più forte e giusto. Per l’oggi, in attesa di un domani migliore per tutti, in questa tragedia degli innocenti che il Coronavirus ha così brutalmente fatto emergere, credo che dobbiamo a loro solo chiedere scusa, anzi provare indignazione e vergogna."

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